La più alta affluenza alle urne da decenni in Israele riapre all’ex premier Benjamin Netanyahu la strada verso il potere. Alle elezioni del 1 novembre, con lo spoglio del 62% dei seggi, il Likud (destra) avanza ulteriormente e si conferma il primo partito con 33 seggi su 120.
Seguono i centristi di Yair Lapid (25 seggi), il partito di estrema destra Sionismo religioso (14), dai centristi di Benny Gantz (12) e dal partito ortodosso Shas (12). Nell’area di centrosinistra tre liste – Meretz, Raam e Balad – sono per ora sotto la soglia di ingresso alla Knesset (il Parlamento di Israele, monocamerale) anche se non lontane. La televisione pubblica Kan calcola che se il prosieguo dello scrutinio confermerà questi dati il blocco dei partiti che sostengono Netanyahu otterrà una maggioranza netta.
“Siamo vicini a una grande vittoria” ha detto Netanyahu ai suoi sostenitori riuniti a Gerusalemme. King Bibi, come lo chiamano i suoi sostenitori, si prepara così a riconquistare lo scettro nelle quinte elezioni in 3 anni. “Fino all’ultima busta, nulla dice che è finita” afferma il premier uscente Lapid. Gli exit poll danno alla coalizione di destra 61-62 seggi su 120, tanti quanti servono per governare, e 54-55 seggi a Yesh Atid (del partito Lapid). Una vittoria che può riportare al comando il più longevo premier della storia di Israele, ancor più del padre della patria David Ben Gurion.
Israele, l’ombra dell’estrema destra
Ma il voto in Israele segna anche il boom del Sionismo religioso di Itamar Ben Gvir, il radicale di destra anti-arabo dalle venature razziste che vuole annettere l’intera Cisgiordania senza concedere diritti ai palestinesi. Lui – e il suo sodale Bezalel Smotrich – otterrebbero 14-15 seggi: una vittoria storica, secondo tutti gli analisti e i commentatori. Un successo che Ben Gvir ha già ipotecato chiedendo nei giorni scorsi il ministero della Pubblica sicurezza. Sarà difficile per Netanyahu fare a meno di quei seggi. Sebbene gli Usa e Paesi del Golfo, con in testa gli Emirati Arabi, hanno ammonito “Bibi“. Reggono poi i partiti religiosi, i Laburisti, la sinistra Meretz, il partito arabo islamista di Mansour Abbas (grande alleato del Lapid). Mentre restano fuori i comunisti di Hadash Taal.
Il dato eclatante è stato comunque quello dell’affluenza: alle 20 del 1 novembre era al 66,3%, quasi 6 punti in più delle elezioni del marzo 2021. In ogni caso le urne più affollate dal 1999. Consci della posta in palio per sbloccare l’impasse politica che ha attanagliato Israele, tutti i partiti – nessuno escluso – hanno ripetutamente chiamato il proprio elettorato ad andare alle urne. A cominciare dal premier uscente di Israele, Yair Lapid, che ha spronato gli israeliani ad esprimere le proprie scelte. “Andate e votate oggi per il futuro dei nostri figli e per quello del nostro Paese“. Non è stato da meno Benyamin Netanyahu.
Netanyahu premier
Lo stesso pressing ha compiuto Ben Gvir, che ha addirittura affittato un elicottero per recarsi nella zona centrale del Paese. Contro di lui tutto l’attuale blocco di Lapid ha fatto muro denunciandone quella che ha definito ideologia razzista e fascista. In serata l’appello finale sia di Lapid sia di Netanyahu: entrambi per mobilitare i propri elettori hanno sottolineato che i blocchi erano “testa a testa“. Ma alla fine sembra averla spuntata il Mago, altro soprannome di Netanyahu. Sarà quasi certamente lui il prossimo premier di Israele.