Tutto sarebbe continuato in modo inesorabile. Anche senza loro padre. E anche loro avrebbero continuato a vivere“. Come Crisalidi, il romanzo d’esordio di Chiara Bennati, edito da Porto Seguro, racconta una storia di una perdita dolorosa, come può essere quella di un padre, e allo stesso tempo un momento di rinascita. Come accade appunto alle crisalidi in natura, e come nella vita vissuta, può accadere a tutti noi.

Il titolo Come Crisalidi non nasconde al lettore che deve affrontare un momento particolare della vita di due fratelli, Lorenzo e Caterina. Sono molto diversi: lui ingegnere tradizionalista, lei artista eccentrica. Devono accorrere nella casa di famiglia, come detto, per la morte del padre Valerio. Ad accoglierli c’è solo una lunga lettera testamento, emotiva e “squarciante”: un dono ai figli che irrompe con coraggio nelle loro vite, con tutta la verità che non sanno e che, men che mai sanno – ancora – come affrontare. La verità sull’uomo, sull’amante, sui suoi segreti e quelli della loro madre, come sulle grandi gioie familiari che forse non conoscono fino in fondo. Un viaggio verso quella parte di noi che fatichiamo ad accettare: la nostra anima più profonda. Anche se dovrebbe essere la missione di questa vita.

Chiara Bennati, autrice di Come Crisalidi in esclusiva a VelvetMAG

Valerio irrompe nel libro con un furbo artificio letterario che gli permette di prendersi l’attenzione del lettore come in vita si è letteralmente preso le vite degli altri?
Valerio
è il personaggio principale ed è nato ben prima dell’idea di questo libro: riassume tanti racconti che avevo scritto (anche su di lui), come tanti pezzetti di avvenimenti e persone che già esistevano o che mi hanno colpito. In un certo senso tutto il romanzo nasce dal fondo – come io amo vedere le cose – trovarne il senso compiuto alla fine, e come spesso mi accade quando scrivo.

Da questo nasce la struttura narrativa di Come Crisalidi che guida il lettore dentro un flashback?
Sì, perché ho pensato che contenesse al meglio gli elementi forti di questo libro, che non sono solo i personaggi. Loro dovevano essere presentati, ma ho pensato che non fosse la lettera il mezzo giusto, perché – quella lunghissima confessione scritta ai e per i figli – pone proprio i coprotagonisti in una sorta di limbo, almeno fino a che non appare chiaro il senso del gesto e del messaggio di Valerio.

Perché scegliere un protagonista in cui è così difficile immedesimarsi?

Il pregio principale di Valerio è quello di lasciarsi trasportare dai suoi desideri e dalle sue emozioni più vere, e vivere quindi intensamente. Ed è una cosa che non riesce a tutti. Mi permetteva di mostrare quel nostro lato “nero”, vero, che spesso non abbiamo il coraggio di esplorare fino in fondo, perché siamo bloccati da tanti condizionamenti esterni. Valerio è tante cose che io stessa sono stata e non avrei voluto essere, come cose che non sono stata e avrei voluto essere. Ho voluto che fosse anche il contenitore di pezzi, di aspetti di persone che ho incrociato: un personaggio un po’ “sanguisuga” per come ha vissuto. E un po’ come siamo un po’ tutti tra lati oscuri e “lati in scena”. Ha il pregio di capire e sentire la sua vita, ma è solo quando la sta per lasciare che ne trova il senso più profondo.

Un personaggio che mostra tutto il suo egoismo, a tratti anche “cattivo”?

Un pizzico di egoismo aiuta – anche se Valerio spesso esagera – ma è un personaggio che ama principalmente se stesso e persegue come una missione la sua crescita anche se per tutta la vita mostra solo il personaggio che ha scelto di interpretare ai più.

Quanta parte, al netto dei tratti di Valerio, è autobiografica nel romanzo? Di sicuro da senese, il racconto della “città magica”?
Certo lo sono tutte le parti che parlano di Siena; in particolare quella lettera in cui racconto il Palio, in realtà l’ho scritta nel 2004. Era il tentativo di spiegare al mio attuale marito l’emozione della vittoria (nell’agosto di quell’anno ha vinto proprio la contrada della scrittrice, la Tartuca, n.d.r): quel dolore sottile dell’attesa scandita da Sunto (la campana della Torre del Mangia che campeggia in Piazza del Campo a Siena, n.d.r.) che a Palio vinto  trasfigura un popolo intero, che vive un’emozione corale, un viaggio sciamanico collettivo, che non è paragonabile a nulla.

Passiamo al Dialogo con la Luna: sospeso a metà tra sogno e realtà. Svela Valerio in maniera brutale, forse un po’ come noi apprendiamo la verità, ma senza rinunciare ad un tocco esoterico.

La Luna mi ha sempre molto affascinata: per il suo lato oscuro, per essere l’opposto del Sole. Era stata la protagonista di un racconto che avevo scritto in precedenza e ho qui sfruttato le emozioni di una notte di Luna piena vissuta all’isola d’Elba. Sono stata sempre molto attratta dal lato esoterico dell’esistenza: che non è solo quella che vediamo, ma altro sotto di noi, come davanti ai nostri occhi. La mia stessa visione della luce che irrompe nelle maglie della coperta – che è il buio, come nelle tradizioni delle fiabe africane – precede spesso i momenti di trans. Che sono cruciali perché in quelli apprendiamo qualcosa di più su noi stessi – come appunto il giubilo nel Palio, il dolore di una perdita – e sul fatto che siamo tutti emanazione di una singola unità, interdipendenti. Ci credo in questo profondamente.

Le crisalidi esplodono nel contrasto luce-buio, ma tu concedi una connotazione quasi positiva del lato oscuro, anche se ribadisci che “il buio era comunque sempre buio e per quanto potesse essere cresciuto…”
La lettera spiega e anticipa cosa accade alle crisalidi – come Valerio, come lo sono gli altri personaggi, Caterina e Lorenzo – ma in fondo lo siamo tutti, quando trasmutiamo come capita a Caterina che diventa un po’ Lorenzo, e viceversa.

La conclusione del libro Come Crisalidi è assai particolare

E’ volutamente aperta: i due fratelli seguono il loro percorso e riprendono le loro vite, lo fanno nonostante il dolore per la perdita del padre – e continuano nel segno del successo, come lui – ma lo fanno soprattutto perché riescono a comprendere la loro missione nella vita.

Il libro finisce a maggio che definisci un mese terribile. Perché?
Maggio è un mese bellissimo, per me il più bello dell’anno, quello delle rondini, della primavera, ma in contemporanea sono accadute delle cose terribili, appunto, a maggio a me o a persone che conoscevo. Alcune sono scomparse e questo mi ha segnata, “squartata” come dice Buzzati. Nel 1991 accadde ad un ragazzo della mia contrada, Daniele Soldatini: mi colpì profondamente.

Come cambiano i legami delle tue crisalidi?

Sono legami che riguardano l’anima e non la forma del legame: salgono ad un livello superiore e legano due (o più) persone nel bene, come nel male. Come quando si compie una separazione, o una vendetta – tutta femminile e intelligente, quella che subisce Valerio dalla sua amante – o come accade per una scomparsa.

Quindi il titolo similitudine quale riflessione consegna al lettore?
Sul dono difficilissimo che Valerio consegna ai suoi figli con la lettera. Presuppone la sincerità e un’apertura completa della mente per essere compreso fino in fondo. Lui è riuscito a farlo solo alla fine e chiede ai figli di farlo in vita. Prima. In un certo senso li sfida – come dovrebbe essere per tutti noi – a trasmutare durante la vita. Valerio, Caterina e Lorenzo sono come crisalidi, ma lo siamo tutti noi. Abbiamo questa missione, il dovere di conoscerci e trasmutarci…

La citazione ad inizio libro tratta dal Purgatorio: Noi siam vermi, nati a formar l’angelica farfalla, che vola alla giustizia senza schemi, introduce la tua visione del mondo?
Per me non esiste né il male, né il bene alla fine, ma siamo un tutt’uno. Noi stessi siamo un calderone. Cresciamo solo se affrontiamo la nostra parte oscura – come nella fase del nigredo della trasmutazione alchemica (anche se la fase dell’annientarsi non è facile in questa vita!) – ma non per distruggerci, quanto per vivere, per connetterci al tutto da cui si proviene, e a cui probabilmente si torna. Per vivere il tutto con un’altra consapevolezza

Perché l’epitaffio sulla tomba di Valerio recita: Qui giace un vinto che non si è arreso, che non spera nulla, non teme nulla, che è libero, che sa che il meglio deve ancora venire? 

Valerio ha scelto di essere seppellito nella cappella di famiglia nel paese d’origine; con una frase e non con il nome il cognome come tutti nei cimiteri. Nel maggio dell’anno successivo alla scomparsa si ritrovano Caterina e Lorenzo. E’ tornato al paese, anche se lo fa fuori dagli schemi, come ha vissuto, non con un nome, una foto, una data, ma con una frase che racchiude in pieno la sua anima.