Suicidio assistito, l’Associazione Luca Coscioni: “Aumentano le richieste di chi soffre”
Video appello di Massimiliano, 44 anni, malato di sclerosi multipla. Un anno fa il primo caso di suicidio medicalmente assistito in Italia
Il problema del fine vita, e delle condizioni a cui si accede al suicidio medicalmente assistito in Italia, divengono sempre più urgenti.
Lo sostiene l’associazione Luca Coscioni che sui social presenta un video appello di un 44enne.
Nella nota che accompagna il video appello l’associazione spiega che “sono in costante aumento le richieste di aiuto, in tema di fine vita, che ogni giorno ci arrivano“. “Negli ultimi 12 mesi sono oltre 9.700 le persone che hanno chiesto informazioni sul fine vita“. In particolare, si spiega ancora dall’associazione Luca Coscioni, “più di 20 persone al mese (quasi una persona al giorno) hanno chiesto informazioni e il modulo per accedere al suicidio medicalmente assistito in Italia o contatti con le associazioni svizzere“.
Il caso di Massimiliano
Tra loro anche Massimiliano, malato di sclerosi multipla da 6 anni. Il quale, però, non essendo “tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale“, non rientra a pieno titolo nei casi previsti dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale sul caso Cappato\Dj Fabo. Ovvero non può accedere al suicidio assistito in Italia.
Chi può accedere al suicidio
La sentenza della Corte Costituzionale numero 242 del 22 novembre 2019 ha aperto la strada al suicidio assistito, sia pure circoscrivendolo con paletti rigorosi. Manca l’intervento del legislatore, cioè del Parlamento, affinché ci sia una legge in materia. A oggi, dunque, la persona deve essere affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che reputi intollerabili. Chi chiede di accedere al suicidio medicalmente assistito deve inoltre essere pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli. A verificare tali condizioni deve essere una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale.
Il video e la richiesta di aiuto
Il caso di Massimiliano, 44 anni, toscano, è presentato da lui stesso in un video sugli account social dell’associazione Luca Coscioni. “Vorrei essere aiutato a morire a casa mia” afferma. A causa della sclerosi Massimiliano non è “più autonomo in niente“ e “peggiora giorno dopo giorno“. “Mi sento intrappolato in un corpo che non funziona più – spiega l’uomo – se non avessi paura del dolore, avrei già provato a togliermi la vita più di un anno fa. Per questo vorrei essere aiutato a morire senza soffrire in Italia. Ma non posso perché non dipendo da trattamenti vitali“. “Sto pensando di andare in un altro paese“, aggiunge l’uomo.
Nel video Massimiliano ha accanto il padre: “Tutte le persone che mi vogliono bene rispettano questa scelta” spiega il 44enne. “I miei amici, le mie sorelle…anche mio padre. Fratelli di questa Italia io non credo più in questo Stato, se voi ci credete ancora, fate qualcosa ma fatelo subito“. “Per amor di Dio, per amore” le parole del padre pronunciate in chiusura del video.
Un anno fa il primo caso di suicidio
L’appello di Massimiliano, afflitto da sclerosi multipla, cade a un anno dal caso del primo malato che abbia mai ottenuto in Italia il via libera al suicidio medicalmente assistito. A fine novembre 2021 dalle Marche era arrivato il nulla osta alla pratica per un uomo di 43 anni. Mario (nome di fantasia), camionista, da 10 anni era tetraplegico a causa di un incidente stradale. Lo scorso 16 giugno 2022 l’associazione Luca Coscioni aveva reso noto che il suicidio assistito di ‘Mario’, il cui vero nome era Federico Carboni, era effettivamente avvenuto quel giorno. E oggi sono ormai passati quasi 6 anni da quando dj Fabo, al secolo Fabiano Antoniani, morì a seguito di suicidio assistito in Svizzera, nel febbraio 2017.
Nel caso di Mario esistevano le condizioni per accedere al farmaco letale, in base alla sentenza della Corte Costituzionale 242 del 2019 sul caso di dj Fabo. La decisione del Comitato etico dell’Azienda sanitaria marchigiana era il risultato di un iter lungo e faticoso durato 13 mesi. Un’equipe di medici e psicologi aveva verificato la sussistenza di tutte le condizioni stabilite dalla Consulta perché di fatto si possa ammettere il suicidio assistito. Fra queste, l’irreversibilità della malattia, l’insostenibilità del dolore e la chiara volontà del paziente.