Tre anni dopo lo scoppio della pandemia di Covid, l’ex premier Giuseppe Conte e l’ex ministro della Salute, Roberto Speranza, sono sotto inchiesta per epidemia colposa.
Assieme a loro il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, l’ex assessore lombardo al Welfare, Giulio Gallera, e altri 13 indagati. Fra essi il presidente dell’Istituto superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, il presidente del Consiglio superiore di Sanità, Franco Locatelli, il coordinatore dell’allora Comitato Scientifico, Agostino Miozzo, l’ex capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, e, tra i tecnici del ministero della Salute, l’ex dirigente Francesco Maraglino.
Covid, le bare di Bergamo
Tra febbraio e aprile 2020 la pandemia di Covid ha colpito in modo molto duro la Bergamasca con oltre 6mila morti in più rispetto alla media dell’anno precedente. Il procuratore aggiunto di Bergamo, Cristina Rota, con i pm Silvia Marchina e Paolo Mandurino, sotto la super visione del Procuratore Antonio Chiappani, hanno tirato le somme di una lunga indagine. Obiettivo dell’inchiesta è di far luce e individuare le responsabilità di quella tragedia che ha lasciato una profonda ferita. E di cui è ancora vivo il ricordo delle lunghe file di camion dell’esercito con sopra le bare delle vittime da trasportare fuori regione per essere cremate.
Conte: “Pronto a rispondere“
“Anticipo subito la mia massima disponibilità e collaborazione con la magistratura” ha commentato l’ex presidente del Consiglio ai tempi del primo anno di Covid, e ora capo del Movimento Cinque Stelle, Conte. “Sono tranquillo di fronte al Paese e ai cittadini italiani per aver operato con il massimo impegno e con pieno senso di responsabilità durante uno dei momenti più duri vissuti dalla nostra Repubblica“. Conte fu interrogato dai pm anche da premier, nel giugno 2020. Tra i reati che i pm contestano, a vario titolo, agli indagati ci sono: epidemia colposa aggravata, omicidio colposo plurimo, rifiuto di atti di ufficio e falso.
L’inchiesta sulla gestione del Covid
L’indagini, scrive in una nota il procuratore Chiappani, “sono state articolate, complesse e consistite nell’analisi di una rilevante mole di documenti” informatici o cartacei. “Nonché di migliaia di mail e di chat telefoniche in uso ai soggetti interessati dall’attività investigativa, oltre che nell’audizione di centinaia di persone informate sui fatti“.
La mancata zona rossa in Val Seriana
Nel mirino degli inquirenti e degli investigatori della Guardia di Finanza sono finiti non solo i morti nelle Rsa della Val Seriana e il caso dell’ospedale di Alzano chiuso e riaperto nel giro di poche ore. Ma soprattutto la mancata istituzione di una zona rossa uguale a quella disposta nel Lodigiano e i mancati aggiornamento del piano pandemico, fermo al 2006, e l’applicazione di quello esistente anche se datato e che comunque, stando agli elementi raccolti, avrebbe potuto contenere la trasmissione del Covid. Riguardo alle omissioni, come ha sottolineato il virologo Andrea Crisanti nella sua consulenza in base a un modello matematico, se fosse stata istituita la zona rossa in Val Seriana, al 27 febbraio i morti sarebbero stati 4.148 in meno e al 3 marzo 2.659 in meno.
Sull’inchiesta Covid che lo coinvolge in pieno l’ex ministro Roberto Speranza ha affermato di aver “sempre pensato che chiunque abbia avuto responsabilità nella gestione della pandemia debba essere pronto a renderne conto“. Per i parenti delle vittime “da oggi si riscrive la storia della strage bergamasca e lombarda. La storia delle nostre famiglie, delle responsabilità che hanno portato alle nostre perdite. La storia di un’Italia che ha dimenticato quanto accaduto nella primavera 2020, non a causa del Covid, ma per delle precise decisioni o mancate decisioni“.