Oggi due anni fa, l’Italia davanti agli occhi del mondo, diventava il primo Paese occidentale a chiudere i propri confini. Imitando il lockdown di quella che allora si pensava fosse, la lontanissima Cina. Le Nazioni limitrofe giudicarono con imprudente saccenza allora la repentina decisione del governo italiano. Purtroppo però di lì a poco tutto il mondo si sarebbe ritrovato a fare i conti con quel maledetto virus, sperimentando il significato di pandemia globale.
Dove altre parole nuove come lockdown, smartworking, distanziamento sociale, sarebbero entrate nel vocabolario quotidiano.
Ogni più piccolo gesto di umanità, di contatto fisico con l’altro, ci sarebbe apparso improvvisamente come un miracolo, un miraggio troppo lontano. “Quando torneremo ad abbracciarci?” “Quando torneremo alla normalità?”. Per tanto tempo, a queste domande non abbiamo dato una risposta. Ma vi era solo il silenzio. Un silenzio assordante, profondo, triste, cupo, che probabilmente non ci dimenticheremo mai. Serviranno sicuramente molti anni per capire a posteriori quanto realmente la pandemia ha cambiato e segnato il destino del mondo. Ma oggi possiamo interrogarci su ciò che ci ha insegnato e ricordare quello che abbiamo vissuto.
Il virus durante la pandemia: come un cavallo di Troia nelle nostre città
La pandemia ha incarnato senza alcun dubbio la falla della modernità. Quello che in gergo finanziario viene chiamato “black swan” o il cigno nero. Un evento imprevedibile che esula da ciò che normalmente ci si attende da una determinata situazione, creando una falla nel sistema. La falla in un mondo in questo caso, sopratutto quello occidentale, da decenni convinto di aver dominato la natura con la scienza. Finanche di essere giunto “alla fine della storia” come suggeriva il concetto del politologo statunitense, Francis Fukuyama. Il virus come un cavallo di Troia, è entrato nelle mura delle nostre megalopoli più moderne. Fermando per la prima volta il tram tram delle nostre vite, distruggendo le nostre certezze fino ad allora. Il Covid non era stato previsto da alcun algoritmo, nessuno lo aveva visto arrivare (pluricitata frase femminista, n.d.r.) , e così ci siamo riscoperti tutti più fragili e di nuovo più piccoli al cospetto di madre Natura. A volte minacciosa, a volte accogliente, ma come sempre da millenni più forte di noi.
Ci sono scene di quel momento che rimarranno per sempre nella storia, e che faranno parte della nostra memoria collettiva. Come le bare dei migliaia di morti trascinate dai camion. La solitudine del presidente della Repubblica davanti al Milite Ignoto, e quella di Papa Francesco sotto la pioggia a Piazza San Pietro. Non dimenticheremo mai l’immagine di quegli anziani spaventati e soli, aggrappati alla vita attraverso quei caschi d’ossigeno. E il coraggio di tutto il personale sanitario nel combattere in prima linea una simile apocalisse. Il lockdown fermando l’economia mondiale, ha fermato il tempo e poi lo ha resettato. Alla pari di eventi drammatici come l’11 Settembre 2001, la pandemia ha sancito l’inizio di un nuovo periodo storico. Ha segnato una cesura nel mondo tra periodo pre e post 2020.
L’importanza del proprio tempo: lo smartworking
Ad oggi i dati riguardanti i consumi in Europa, sopratutto nel settore dei servizi come quello alberghiero e della ristorazione, non accennano a scendere. Nonostante la forte inflazione in cui è incappato il Vecchio Continente a seguito dello scoppio della guerra in Ucraina e il conseguente rincaro delle materie prime. Questi dati economici ci raccontano di quanto le persone vivano tutt’ora in una sorta di onda lunga post-pandemia. Dove persiste ancora tanta voglia di uscire e di incontrarsi, per ripopolare quei luoghi che in questi anni sono rimasti vuoti e chiusi per troppo tempo. La pandemia ci ha difatti strappato soprattutto gli affetti ed il contatto con l’altro. Rinviando feste, ricorrenze, eventi presenti o programmati in futuro.
In quel momento tutto era incerto e niente poteva essere programmato. E in questa strana dimensione temporale abbiamo partorito in ambito lavorativo lo smartworking. Il “lavoro intelligente o agile” che va incontro alle esigenze della persona, adagiandosi alla sua vita. Lo smartworking ha oggi aperto nuovi orizzonti lavorativi, dove molti Stati sperimentano varie varianti. Dalla settimana corta di quattro giorni alla versione ad oggi dominante nella quasi totalità degli uffici, che prevede una settimana mista composta da giorni in presenza e giorni in smartworking. La pandemia ci ha consegnato questa piccola rivoluzione, che probabilmente parte da molto più lontano. Da decenni difatti convivevamo con la sensazione di vivere in un treno in corsa, il virus ci ha solo spronati a ricordare l’importanza dell’essere proprietari del proprio tempo. E forse il valore della nostra umanità, prima ancora del profitto.