È caos totale in Sudan, uno dei più grandi paesi dell’Africa, nonché dei più poveri. Continua ad aggravarsi il bilancio degli scontri tra le forze armate regolari e le forze di supporto rapido (Rsf), ossia i paramilitari filorussi insorti, cominciati il 15 aprile.
Le persone uccise sono almeno 56. I feriti sono circa 600, stando alle cifre che su Twitter dichiara il Comitato centrale dei medici sudanesi. Nella capitale Khartoum ci sono stati 25 morti e 302 feriti. Tra le vittime ci sono sia civili che militari. Secondo il Quotidiano Nazionale sarebbero almeno 150 gli italiani che lavorano e operano in Sudan rimasti in trappola.
Sudan, ong italiana bloccata
Fra questi anche un gruppo di 5 italiani, tra cui un bambino di 8 anni. Sono bloccati a Khartoum. Stefano Rebora, presidente dell’ong Music for Peace ha spiegato ad AdnKronos di essere “in stretto contatto con l’ambasciata e con l’ambasciatore, che sta facendo un lavoro eccellente“. “Per ora non ci sono problemi per la nostra incolumità. Siamo in sicurezza, ma ovviamente l’ordine è di stare chiusi in casa“, ha dichiarato Rebora.
Cosa sta succedendo
I combattimenti sono tra le unità dell’esercito fedeli al leader de facto del Sudan, il generale Abdel Fattah al-Burhan, e le Forze di supporto rapido (Rsf), comandate dal vice leader del Sudan, Mohamed Hamdan Dagalo. Quest’ultimo è noto anche come Hemetti. In qualità di comandante dei miliziani Janjaweed, Hemetti è sotto accusa di un numero impressionante di crimini contro l’umanità per massacri perpetrati nel Darfur e nel Kordofan.
Sia l’esercito che i ribelli sostengono di avere il controllo dell’aeroporto di Khartoum e di altri siti chiave della capitale. I miliziani paramilitari hanno rivendicato il controllo di almeno tre aeroporti, della residenza del capo dell’esercito e del palazzo presidenziale. Tuttavia il generale Burhan ha smentito queste affermazioni in un’intervista all’emittente qatariota Al-Jazeera. Si segnalano inoltre scontri presso la stazione televisiva di Stato. Secondo testimoni oculari la controllerebbero adesso i ribelli del Rsf.
Decine di morti e centinaia di feriti
Violenze anche in altre zone del Sudan, comprese le città della regione del Darfur. I numeri delle vittime sono in continuo aggiornamento. Secondo varie fonti si tratterebbe di alcune decine di morti e centinaia di feriti. Tre dipendenti del Programma Alimentare Mondiale (PAM), un organismo delle Nazioni Unite che fornisce assistenza alimentare alle comunità vulnerabili, sono morti durante uno scontro tra ribelli e regolari a Kabkabiya, nell’ovest del paese. Altri due membri dello staff sono stati gravemente feriti e le Rsf hanno saccheggiato diversi veicoli del PAM.
La situazione del Sudan
Gli scontri sono scoppiati sia per le tensioni tra le due fazioni militari nell’ambito della transizione al Governo civile dopo il golpe che nel 2019 portò alla caduta del dittatore al-Bashir dopo trent’anni di potere assoluto. Nel 2021 un altro colpo di Stato militare delle forze armate sudanesi aveva portato all’arresto del primo ministro Abdallah Hamdok che si era rifiutato di appoggiare il golpe.
Il caos odierno è dovuto anche al naufragio del tentativo di integrare le Forze di supporto rapido dei janjaweed nell’esercito regolare. I militari volevano che l’integrazione avvenisse in due anni. Hametti, il capo degli attuali golpisti, voleva invece ritardare l’integrazione di 10 anni per non compromettere la propria posizione politica. La situazione è “fragile“, afferma il segretario di Stato americano, Antony Blinken che in queste ore si trova per la sua prima visita ufficiale in Vietnam. E anche Mosca con una nota del Cremlino esprime “seria preoccupazione” per gli eventi in corso in Sudan.
Sudan, la nota del Governo italiano
Il colpo di Stato è avvenuto nelle ore in cui la premier italiana, Giorgia Meloni, è in visita in Etiopia per stringere accordi nel Corno d’Africa, non molto distante dal Sudan. Palazzo Chigi ha emesso una nota. “Il Governo italiano segue con preoccupazione gli eventi in corso in Sudan e si unisce agli appelli ONU, Unione Africana e Unione europea perché cessino i combattimenti a Khartoum e altrove. Per la sicurezza del popolo sudanese e per risparmiare ulteriori violenze. Invita quindi le parti in causa ad abbandonare la via delle armi, e a riprendere i negoziati avviati da tempo, affinché il popolo sudanese esprima le proprie scelte nell’ambito di un processo elettorale. La violenza porta soltanto altra violenza“.