Le donne iraniane non vedono la fine del proprio calvario. Dal novembre 2022 a oggi sono diverse migliaia, secondo Amnesty International, le studentesse deliberatamente avvelenate dagli sgherri della Repubblica islamica.
In questi giorni, inoltre, stando a Bbc Persian, il direttore generale dei Musei del ministero dei Beni Culturali dell’Iran, Morteza Adibzadeh, ha inviato una circolare ai direttori dei dipartimenti culturali di tutte le province dell’Iran. Chiede di vietare l’ingresso ai musei e alle collezioni d’arte alle donne che non indossano il velo.
Avvelenamenti nelle scuole
Il provvedimento è in linea con il nuovo piano della polizia iraniana per far rispettare l’obbligo di portare il velo in pubblico. Un progetto dai contenuti surreali, che sarebbero ridicoli se non fossero tragici. Le donne senza velo sul capo alla guida di auto, ad esempio, si vedranno sequestrare il mezzo. Ma i problemi per le donne in Iran sono anche e soprattutto altri. Dal novembre 2022 migliaia di studentesse a Teheran e in altre città del paese hanno subìto avvelenamenti da sostanze gassose nelle loro scuole.
Tosse, difficoltà respiratorie, irritazione al naso e alla gola, palpitazioni, mal di testa, nausea, vomito e intorpidimento degli arti sono i sintomi più comuni, scrive il sito Amnesty.it. Polizia e guardie di sicurezza hanno preso di mira più di 100 scuole in tutto l’Iran. Alcune più di una volta. Attacchi con sostanze velenose sono avvenuti per la prima volta nella provincia di Qom e da allora si sono moltiplicati in tutto il paese. Dal link sottostante si accede un video di avvelenamenti contro studentesse postato su Twitter da una giornalista iraniana del quotidiano inglese The Guardian.
🚨 School girls from Chamran high school, Hamedan are screaming in pain after they were targeted with toxic gas. #IranChemicalAttacks pic.twitter.com/lHMympK0hz
— Deepa Parent (@DeepaParent) April 19, 2023
Iran, violenza di Stato sulle donne
A seguito di questi attacchi, molte famiglie hanno dovuto ritirare le loro figlie dalle scuole. Secondo i dati ufficiali del regime dispotico che governa l’Iran da 50 anni, 13mila studentesse hanno avuto bisogno di cure mediche. Malgrado ciò il ministro della Salute ha dichiarato che non ci sono “prove concrete” che le studentesse siano state avvelenate e ha aggiunto che “più del 90% dei problemi di salute è causato da stress o è stato inventato“.
Secondo Amnesty International, tutto lascia pensare che quella degli avvelenamenti sia una campagna coordinata. L’obiettivo? Punire con durezza le studentesse per la loro pacifica partecipazione alle proteste scoppiate a partire dalla metà del settembre 2022 in tutto l’Iran contro l’obbligo del velo dopo la morte di Mahsa Amini. Negli ultimi mesi molti video sui social media mostrano atti di resistenza. Come togliersi l’hijab – uno dei vari tipi di velo – obbligatorio. E mostrare i capelli in pubblico indossando l’uniforme scolastica. Lo scorso dicembre era emersa la notizia che la polizia e le forze di sicurezza sparavano al volto e ai genitali delle donne che protestavano. Amnesty invita tutti a firmare un appello per chiedere di proteggere le ragazze iraniane e garantire il loro diritto allo studio.
Afghanistan, donne espulse dall’Università
Studiare, poter frequentare la scuola e l’Università sono attività e diritti di cui difficilmente le donne possono usufruire e godere nelle società teocratiche islamiche. Un tragico esempio è quello che proviene da un paese confinante con l’Iran: l’Afghanistan. L’Università è vietata alle studentesse, così come la scuola superiore. Da Kabul, la Capitale, dove sono tornati al potere i talebani, dal Ferragosto 2021, meno di un mese fa è sparito Matiullah Wesa, giovane attivista per i diritti umani e per l’istruzione femminile, tratto in arresto. Di lui non si sa più nulla.
L’istruzione delle donne è un tabù infrangibile per i talebani. Lo scorso 20 dicembre, in una lettera a tutte le Università governative e private, il ministro dell’Istruzione superiore dell’Afghanistan, Neda Mohammad Nadim, aveva usato toni perentori. “Siete tutti informati di attuare il citato ordine di sospensione dell’istruzione delle donne” aveva scritto. Si era ribellata perfino la Turchia. “Non c’è posto nella religione per questo tipo di proibizione” aveva tuonato Ankara, irritata dalle posizioni sempre più oscurantiste dei talebani.