Nuove rotte commerciali navigabili più veloci e sicure, ricchezza di materie prime e terre rare, rendono oggi l’Artico il nuovo centro delle strategie geopolitiche di Stati Uniti, Russia e Cina. Complice il cambiamento climatico, che sta causando il catastrofico scioglimento della calotta polare, e che ha reso attraversabili, per periodi dell’anno sempre più lunghi, rotte commerciali fino a pochi decenni fa quasi impraticabili.

In barba all’ambiente dunque queste 3 superpotenze oggi progettano di mettere mano alle risorse naturali dell’Artico. Deturpando quell’ultimo lembo di terra rimasto ancora fuori dalle logiche dello sfruttamento capitalistico. L’Artico ora rischia di diventare una “nuova Taiwan” ed una “nuova Africa”.

Circolo polare Artico/ FOTO ANSA

Le rotte dell’Artico e gli interessi di Cina e Russia

Con le pressioni dei Paesi occidentali sull’economia russa, l’importanza oggi della rotta Nsr (Northern sea route) come arteria di trasporto marittimo per Mosca è esponenzialmente aumentata. Secondo i dati dell’Arctic Ship Traffic Data, nel complesso il numero delle navi che transitano nell’Artico è cresciuto del 35% tra il 2013 e il 2019. E la Russia è in prima linea. Non a caso è l’unica potenza dotata di un importante flotta di navi rompighiaccio a propulsione nucleare. Che la pongono una spanna avanti al livello tecnologico rispetto ai propri competitor occidentali. Per la Russia difatti la rotta Artica è vitale sopratutto come via di sbocco commerciale del greggio verso i suoi nuovi fedelissimi clienti come Cina e India.

Artico/ FOTO ANSA

Ma la rotta Artica fa gola a tutti quei Paesi dell’Indopacifico che intendono smerciare le proprie risorse verso il continente Europeo. Secondo gli esperti percorrendo la Nsr al posto di Suez o Panama, le navi container sarebbero in grado di risparmiare mediamente circa 14-20 giorni a viaggio. Ecco perché oltre al Cremlino, anche la Cina ha messo gli occhi sulle rotte artiche. Pechino ha individuato nella Nsr una sorta di terza via per i traffici della Silk Road Connection (la via della Seta). Il passaggio attraverso l’Artico della tratta Rotterdam-Shanghai permetterebbe difatti, alla nota compagnia di navigazione cinese Cosco, un risparmio di circa una settimana. 

Il cambiamento climatico e lo sfruttamento del sottosuolo: i Paesi occidentali a caccia di terre rare e gas

Il cambiamento climatico, causando lo scioglimento della calotta artica, sta agevolando il transito di rotte commerciali fino a pochi decenni fa quasi impraticabili. Un dato assai drammatico che sta dunque cambiando gli scenari geopolitici ed economici mondiali. La zona artica, si estende per oltre 8mila chilometri quadrati, ed è divisa tra Russia, Canada, Stati Uniti, Svezia, Danimarca, Finlandia, Islanda e Norvegia. Per anni questi Stati secondo Convenzione hanno potuto imporre alti pedaggi alle navi straniere che passavano per queste rotte, rendendo antieconomica la traversata. Se però la rotta, come sta accadendo negli ultimi anni, cessa di essere ghiacciata per più di sei mesi l’anno, la Consuetudine non è più applicabile e dunque gli Stati che si affacciano sull’Artico non hanno più alcuna possibilità di “bloccare” il passaggio. Generando un vero caos politico.

Materie prime/ FOTO ANSA

Ad oggi però non è solo la possibilità di una nuova rotta commerciale per le navi container a generare tensione fra le superpotenze. Quanto anche lo sfruttamento del sottosuolo, in barba a tutte le politiche green paventate dai governi odierni. è stato stimato difatti, che nella regione artica si trovano oltre il 12% delle riserve di petrolio globali e il 30% di quelle di gas, oltre a immensi giacimenti di terre rare. Quest’ultime presenti sopratutto nel continente africano, e oggi quasi totalmente in mano alla Cina. Motivo per cui le concessioni allo sfruttamento di queste risorse dell’Artico rappresentano un tesoro prezioso per i Paesi occidentali, che sono oggi alla disperata ricerca di queste materie prime e vogliono scongiurare una loro dipendenza da Pechino. Ma a quale prezzo però? Quello di deturpare uno degli ultimi luoghi “immacolati” della terra. Dove le conseguenze, come per il continente africano, si ripercuoteranno inevitabilmente sull’ambiente e sulle popolazioni locali.