La ONG americana Human Rights Watch ha denunciato Meta e Instagram perché responsabili di alterare e oscurare con i loro algoritmi, immagini, video e post, riguardanti il conflitto in Palestina. Penalizzando e silenziando appositamente quelle voci in difesa del popolo palestinese.
Molti intellettuali e politici da settimane nelle loro pagine social avevano denunciato questa anomalia della piattaforma californiana, che tendeva a penalizzare la circolazione e la visibilità di alcuni loro post pro-Palestina. Ma adesso la ONG americana, come riporta il The Guardian, ha accumulato contro Meta be 51 pagine di prove in un report. Un ennesima conferma che ci deve spingere tutti quanti a riflettere circa la vera natura democratica di queste piattaforme e il loro pericoloso potere distopico e manipolatorio della realtà.
Il report della Human Rights Watch: Meta ha bannato e oscurato sistematicamente post pro-Palestina
Nel report si leggono le prove sul fatto che Meta abbia attuato una “sistemica e globale” censura dei contenuti pro-Palestina dallo scoppio del conflitto il 7 Ottobre. Nelle 51 pagine, l’ONG Human Rights Watch ha documentato e riportato accuratamente i migliaia di account e post bannati tra Facebook e Instagram. Tutti riguardanti contenuti pro-Palestina e immagini della sofferenza del popolo palestinese. Meta avrebbe interferito, attraverso la cancellazione e la visibilità dei post e sulla possibilità e probabilità di un utente di visualizzare quel contenuto e poter interagire con la persona che lo ha ideato. Nella lista redatta dalla ONG dei ban di Meta vi sarebbero contenuti originati da più di 60 Paesi, di cui la maggior parte in lingua inglese. E tutti, come conferma Human RIGHTS Watch, non includevano affatto messaggi violenti. Ma al contrario, citando le parole del report, “un pacifico supporto alla Palestina espresso in modi diversi”.
Perfino l’ONG, denunciando inizialmente l’iniquità della censura sui social, ha visto i propri post bannati e segnati come spam da Meta su Instagram e Facebook. In sua difesa Meta ha replicato al The Guardian che comprende quanto tali evidenze possano impattare negativamente sull’opinione pubblica. Ma che la prova di una manciata di post bannati e silenziati non sia niente in confronto all’oceano di informazioni che circolano all’interno dei loro social network. Eppure non si capisce bene perché il sistemico banning politico non si rilevi anche per la parte opposta del conflitto. A riprova dei diversi pesi e misure usati da Meta numerosi users hanno denunciato un ulteriore anomalia anche per quanto riguarda l’AI di Whastapp. Che quando interrogata sul generare l’immagine di un bambino palestinese, disegna un cartoon di un bambino con in mano una pistola. Lo stesso non si verifica per un bambino israeliano.
La manipolazione mediatica degli algoritmi delle Big Tech: una propaganda tutta occidentale
La manipolazione mediatica almeno per quanto riguarda l’informazione mainstream, non appartiene solo alle dittature, ma anche alle democrazie occidentali. Bisogna essere ben consapevoli che anche il racconto narrativo che l’Occidente formula sulle questioni geopolitiche globali del momento è via via oggi pilotato da potentissime lobby e poteri alti che spingono per una certa versione dei fatti. Basti pensare al disastro mediatico riguardante il gasdotto Nord Stream 2, dove gli americani e gli ucraini avevano inizialmente incolpato i russi. E pochi mesi dopo gli USA hanno confermato il coinvolgimento ucraino e la totale assenza della mano russa. Il caso Meta non è che l’ennesima conferma dell’esistenza di una propaganda occidentale, oggi prettamente filo-atlantista.
Il regime democratico nella quale viviamo però ci regala un importantissimo diritto e una grande opportunità: la forma di dissenso. Che è generalmente e costituzionalmente tutelato. Che fa si che sia su internet, che sui canali social, nonostante i dirottamenti e le censure dei potenti algoritmi delle Big Tech, la verità oggi può ancora essere scovata. A patto che non ci si fermi ai Tweet o ai primi titoli di giornale che la home del nostro smartphone ci propone. Ma al contrario abbiamo il dovere di approfondire con più fonti le nostre opinioni e mettere sempre in discussione la verità che ci viene raccontata dal mainstream. Perché come sosteneva Pier Paolo Pasolini “la cultura media è sempre corruttrice”.