L’ “artigiano” del lusso Vittorio Martire si racconta in esclusiva a VelvetMAG in un faccia a faccia dedito al Made in Italy e al nobile concetto di ‘maestranze’ rimaste ancora intatte di padri in figli. Vittorio cresce in una famiglia che produce scarpe da cento anni e ben quattro generazioni, come terzisti, per marchi anche molto noti del segmento nazionale ed internazionale, ma oggi, ha deciso di creare uno spin-off della produzione fondando un’azienda a sé stante, omonima Vittorio Martire Milano, sita nel capoluogo lombardo, in un quartier generale nel cuore del quadrilatero della moda.
Progetti concreti, obiettivi ben chiari nella sua strategia e che Martire non ha intenzione di mancarne uno: classe, stile, lusso, ma soprattutto unicità di ogni prodotto, fatto rigorosamente a mano, dietro attenti input sia personali che dei suoi specialisti interni. La peculiarità del giovane imprenditore, che punta anche in un futuro prossimo alla quotazione in borsa, è quella di saper accostare la sua immagine al brand, come altri importanti leader e capitani d’impresa, poiché, come poi ha avuto modo di affermare: “Oggi essere ambasciatore del proprio prodotto è una mission fondamentale verso gli interlocutori, che siano essi distributori o clienti finali, partner o investitori, gestendo così direttamente la strategia “architettonica” che porta poi all’indirizzo scelto da chi la crea!”.
Vittorio Martire, intervista esclusiva VelvetMAG
Come avviene il passo di staccarsi dalla tradizione di famiglia e mettersi in proprio, con quali motivazioni?Provengo da una famiglia che da diverse generazioni produce scarpe per molte aziende italiane ed estere. Vittorio Martire Milano nasce come spin-off, un veicolo riconoscibile, un marchio identificativo con un nuovo progetto a monte: quello di una sua identità, attingendo a ciò che è il know-how familiare. Prima di rappresentare la mia linea, ho lavorato nelle nostre aziende, portandomi quindi dietro una conoscenza già forte del mercato e del settore di riferimento. Rientro nella quarta generazione e, vivendo in un’era diversa, non volevo continuare a lavorare conto terzi, ma differenziarmi, contare su un proprio prodotto esclusivo che era da tempo già nelle mie corde. Come dice il maestro Cucinelli; “curare e favorire chi usa le mani”. Non intendevo perdere il cosiddetto ‘mestiere’ a discapito della macchina produttiva in serie.
Cos’è per lei il Made in Italy? Un valore che si sta perdendo a suo avviso?
No, non credo. Il Made in Italy è un DNA che non si può perdere, fa parte della nostra millenaria tradizione. Uno dei motivi per cui ho scelto il marchio Vittorio Martire Milano è proprio per questo, perché doveva essere chiaro il messaggio, soprattutto all’estero: Italia! Noi siamo e dobbiamo essere dei piccoli ambasciatori nel mondo.
Perché è ambasciatore di se stesso? Qual è il concetto?
Curiosità innata. Un giorno peregrinando con alcuni miei agenti, mi accorsi che qualcosa doveva essere migliorato, e da buon osservatore capii che il vero ambasciatore dovevo essere io, sia come segno di credibilità verso il cliente che come responsabilità nei confronti dell’entourage e dei mie partner, siano essi fornitori o investitori. E naturalmente non è da escludere la passione personale che mi ha sempre contraddistinto. Entusiasmante è l’emozione che provo quotidianamente nel portare in giro per il mondo le nostre creazioni. Solo operando in prima persona sentivo, e sento, che potevo trasmettere un certo tipo di sensazioni.
Passiamo ai singoli prodotti, partendo dalla loro creazione.
Mi piace molto giocare mentre lavoro, è un po’ il mio modus operandi. Tutto parte dalla mente. L’input arriva sempre da me e procede verso il team esecutivo. Credo che l’epoca passata sia stata la più bella, dalle varie arti al manifatturiero. Diciamo che sono un nostalgico. Mi incantavo a vedere mio padre e mio nonno all’azione. Quel genere di “fatto a mano” ha un fascino ineguagliabile, quel rispetto del materiale e del prodotto, una magia che porto con me sin da piccolo. L’ho sempre considerato il vero valore aggiunto che il macchinario non potrà mai donare. Valore aggiunto preziosissimo oltretutto, che sta scomparendo o si sta svendendo alle grandi holding. A monte vedo l’idea, creare un’identità, la faccio disegnare e seguo l’iter passo dopo passo. Anche a livello tecnico cerco di ispezionare step by step, dalla linea, alla ricerca sia dei tessuti, che dei colori.
La location al centro di Milano, non proprio una boutique né un laboratorio sartoriale, dove c’è stato il suo tocco. Chiunque può venire o si deve avvisare? Come si strutturano gli ambienti?
Una location fortemente voluta. Nasce inizialmente come ufficio di rappresentanza che ho poi preferito far vivere in modo continuativo tutto l’anno. Con l’Atelier si instilla anche il mio personale volere di far crescere e coccolare i clienti, che ci raggiungono solitamente sempre con preavviso. Alla base anche il vecchio stile del passaparola, con una prerogativa ben precisa: si scelgono le persone per caratteristiche e personalità e non certo per le sole possibilità economiche.
I tre obiettivi o mission fondamentali che Vittorio Martire ha fissato per il 2024?
In primis puntiamo molto sulla nostra rappresentanza a Dubai, la seconda sono gli Emirati Arabi, Arabia Saudita, con i quali abbiamo contatti diretti fino ai massimi livelli istituzionali. Partecipare quindi alla prossima Fashion Week a Riyadh è un punto cardine della nostra azienda. In terzo luogo la ricerca di un partner solido per le aperture in diversi fronti e in varie parti del mondo. A tutto questo aggiungo il progetto dell’e-commerce, sul quale ci stiamo alacremente adoperando.
Vittorio Martire Milano dice oggi grazie a chi e naturalmente perché?
Alla mia famiglia ovviamente; mio padre senza dubbio per la fiducia, la stima e la voglia di credere in me. La sua e la loro lungimiranza è stata il motore di tutto. Con loro condivido anche gran parte delle scelte aziendali. Dal piccolo dettaglio fino alle decisioni più delicate, considerando poi che è anche e proprio mio padre uno dei miei affidabili produttori, il ché la dice lunga sul nostro straordinario legame, affettivo, ma anche professionale.