Primavera rap: il riscatto di cui abbiamo bisogno dal Sud e dalla periferia
Un editoriale per spiegare una foto di copertina che racconti il momento che stiamo vivendo
Angela Oliva
Da sinistra: il direttore di VelvetMAG Angela Oliva. Un murales ritratto da @Antonio Martello
Sarà una primavera rap? Il primo cambio di stagione come oggi anno farà capolino da calendario il 21 marzo, ma in un certo senso il Festival di Sanremo 2024 ha spalancato la porta un po’ prima ad un impeto vitale diverso quest’anno. Più forte, meridionale, giovanile, insomma una primavera rap in un contesto però che non smette di alimentare violenze, in campo internazionale, come da noi. E forse sono in molti come a sottovalutare quanto questo rap imperante lo interpreti meglio di altri.
Devo dire che le polemiche dopo la vittoria di Geolier nella serata delle cover nell’ultimo Festival di Sanremo mi hanno molto colpita. Il rapper napoletano, che si esibiva con Guè, Luchè e Gigi D’Alessio nel medley dal titolo Strade, e ha ricevuto una valanga di voti da casa, non solo quella sera. Probabilmente alla fine se Angelina Mango con il commovente tributo al padre nel cantare La rondine avesse vinto quella sera e non la kermesse, in molti non avrebbero fatto una piega. Ma il sistema di voto è complesso e contempera radio e stampa e come sempre codazzo di polemiche, ma non è quello che mi interessa sottolineare.
Primavera rap: il grido delle periferie, spesso è ancora il grido dal Sud
Il rap italiano è cambiato moltissimo dall’esordio degli Articolo 31 o di Jovanotti. Così come è cambiato il Paese e la società tutta. Non è più così episodico, nel senso di legato a pochi artisti sulla scena, che poi sono profondamente mutati e l’hanno abbandonato, in tutto o in parte, crescendo sia artisticamente, che anagraficamente. Mentre sono tantissimi oggi i giovanissimi (e qualcuno meno, vedi Fedez, ma ci sono anche altri esponenti vicini alla trentina e più) che fanno rap: è un grido di sicuro forte, sicuramente assai generazionale, e che si leva dalle periferie delle grandi città (Milano e Napoli su tutte; Roma anche in questo appare socialmente un po’ più placida). Di qui la scelta della bella foto scattata dal nostro Antonio Martello.
Spesso sbagliando – ma questo è dovuto molto a mio giudizio alla natura e alla nascita americana del fenomeno – viene etichettato come mero veicolo verbale diviolenza. Come se potesse ingigantire automaticamente quella che il genere umano non fa nessuna fatica a perpetuare. Con un paio di guerre vicine al di là del mare o poco oltre le montagne ad est, come in un corteo a Pisa. Mentre la gioia del ritmo di una cumbia può attenuare quella di questo verso: “Una corona di spine sarà il dress-code per la mia festa“!
Ad esempio a me piace il sud
Ma lo stigma resta: insieme alla considerazione di essere un genere musicale poco colto, financo poco armonioso (perché melodico lo è eccome!). Però è il fenomeno che domina le classifiche anche se non piace; che vende dischi, riempie i luoghi della musica e non solo. Parliamo di un fenomeno sociale. E dopo questo Festival è apparso anche un po’ razzista, perché la scuola napoletana è la più forte, complici anche fenomeni non musicali di tendenza (anche se la sigla di Mare Fuori è ormai un cult), e per la capacità tutta meridionale di ibridare e moltissimo. Compresa la tradizione neomelodica, come avviene in I p’ me, tu p’ te. Puri problemi esistenziali d’amore. Come è giusto che sia a quell’età.
Quando è impazzata la polemica come se da Napoli, simbolo per eccellenza di tutto il Sud, non potesse proprio iniziare nessun riscatto, neppure questa primavera rap, mi è tornata in mente una vecchia canzone di Rino Gaetano, Ad esempio a me piace il sud. Siamo nel 1974 e 50 anni dopo a volte il Sud viene ancora guardato con sospetto o relegato al paragrafo sulla “questione meridionale” sui libri di testo: forse per i “fichi d’India e le spine dei cardi… La donna nel nero, nel lutto di sempre…”, con “l’acqua che in quella terra è più del pane”. E infine, il genio crotonese conclude, interrogandosi: “devo dirlo, ma a chi/ Se mai qualcuno capirà/Sarà senz’altro un altro come me“. Uno che viene dal Sud – non è un accostamento musicale, ma culturale – un po’ come Geolier. Va ragazzo, canta e fregatene!