Le guerre in Medio Oriente e in Ucraina, continuano a stravolgere l’agenda politica e le priorità dell’Europa. Che procede spedita verso la strada del riarmo e talvolta anche del reinserimento della leva cosiddetta “semi-obbligatoria”.
I venti di guerra non smettono infatti di spirare su tutto il vecchio continente, dove adesso anche la Germania sembra voler reintrodurre la leva militare, secondo il modello svedese. Da questa nuova era globale però, che si aperta con la guerra in Ucraina, l’economia della vecchia Europa appare pesantemente compromessa e indebolita. Secondo gli ultimi dati raccolti infatti dal Wall Street Journal, gli USA stanno guadagnando parecchi flussi di denaro proprio a scapito dell’Eurozona.
Europa: la corsa al riarmo già dal 2015 e la leva semi-obbligatoria in Germania
In tutte le cancellerie d’Europa ormai la parola “guerra” divampa. E in vista di un possibile scontro con la Russia, data l’improbabile vittoria ad oggi sul campo dell’Ucraina, i governi europei si impegnano ad aumentare la spesa militare e a reintrodurre un sistema di leva. In Europa l’hanno già reintrodotta la Lituania e la Svezia, mentre Danimarca e Grecia non l’hanno mai abrogata. Ma adesso anche la Germania starebbe valutando la possibilità di introdurre per quei giovani di 18 anni un sistema di leva semi-obbligatoria. Ovvero un modello dove a campione vengono scelti circa 4mila ragazzi che ogni anno saranno sottoposti a 12 mesi di addestramento. Ma questo clima di incertezza e questa tendenza generale al riarmo a chi sta giovando?
In realtà la tendenza al riarmo che oggi ci spaventa aveva già avuto inizio, nel totale silenzio mediatico, circa 10 anni fa. Infatti secondo i dati SIPRI, Stockholm international peace research institute, la crescita esponenziale del riamo al livello globale è iniziata già nel 2015. Proprio allo scoppio della guerra del Donbass. Ed ha raggiunto un boom nel 2021 e non nel 2022, che è l’anno dello scoppio della guerra in Ucraina. Un chiaro segnale questo, di come i governi si aspettassero chiaramente a breve lo scoppio di una guerra. Dal 2017 al 2022 infatti la spesa militare globale è aumentata del 17%. Cifre consistenti che ci spingono a riflettere. Ma chi ci guadagna in questa corsa spasmodica al riarmo in Europa?
I guadagni degli USA a discapito dell’Eurozona
Fermo restando che la corsa al riarmo, a prescindere dal guadagno economico che uno Stato può trarre, è sempre una sconfitta. In questo caso da un attenta raccolta dei dati del Wall Street Journal, senza alcun dubbio dal progressivo riarmo, dalle guerre, e dal distacco della Russia verso la Cina, è l’Europa a rimetterci pesantemente. A discapito dell’economia statunitense che al contrario si sta garantendo e aprendo nuovi flussi di danaro. Derivanti in particolare dall’industria degli armamenti e da quella delle esportazioni energetiche. Si attesterebbe attorno al 64% la quota di ritorno economico alla base industriale della difesa statunitense sul totale di 60,7 miliardi di dollari stanziati dagli Usa in sostegno a Kiev, nell’ultimo disegno di legge. Ma non è tutto, la produzione industriale statunitense relativa ai settori di spazio e difesa negli ultimi due anni ha visto un aumento di circa il 18%.
Un ritorno economico cospicuo a cui hanno contribuito soprattutto i governi europei. La spesa dei Paesi UE infatti per prodotti militari statunitensi relativa agli ultimi due anni rappresenta un investimento senza precedenti, rispetto agli ultimi vent’anni. Basti pensare che degli 80 miliardi di dollari di accordi in armamenti annuali stipulati dagli Usa fino al settembre 2023, più della metà sono stati forniti agli alleati europei. Una quota ben cinque volte maggiore rispetto alla tendenza storica riscontrata negli ultimi nove anni. Ma aldilà del comparto militare è anche quello energetico che oggi contribuisce a generare risorse agli USA. Che grazie al nuovo mercato europeo, orfano del gas russo a basso costo, ora sono diventati il primo Paese esportatore mondiale di GNL. Mentre gli USA dunque raggiungono nuovi record, l’Europa spende più soldi in armi e in materie prime. Indebolendo di fatto la propria produzione industriale.