La guerra in Medioriente è ormai una bomba ad orologeria. Specie dopo l’attacco israeliano all’ambasciata iraniana a Damasco, e l’uccisione da parte dell’IDF di 7 operatori umanitari. Il premier Netanyahu ha innescato una nuova fase dell’escalation.
Le ultime azioni spregiudicate del governo Netanyahu avvicinano inesorabilmente il mondo ad un passo dalla scoppio di una sanguinosa guerra regionale. Che nel giro di poco tempo si trasformerebbe inevitabilmente in una “terza guerra mondiale“. Secondo alcuni esperti di Washington, Netanyahu sta cercando volutamente di allargare il conflitto, perché è la sua unica possibilità ad oggi per restare al potere. In tanti si aspettano un attacco via terra delle truppe israeliane a Rafah, dove sono rifugiati milioni di palestinesi, a seguito del Ramadan. I colloqui con Hamas infatti sono ad un punto morto, e il premier israeliano ha dimostrato chiaramente in tutti questi mesi di guerra, di essere totalmente immune alle pressioni esterne dei governi occidentali. Washington compresa, che continua a inviare milioni di dollari e armi all’esercito israeliano.
Netanyahu e la nuova pericolosa fase della guerra a Gaza
La guerra in Medioriente ha superato la soglia dei 181 giorni. Dove l’esercito israeliano non ha mai dato segni di alcun rallentamento della sua offensiva. Colpendo in questi mesi senza sosta e a suon di bombe non solo l’intera Striscia di Gaza, ma obbiettivi in Siria, Libano, Iraq, Libia. Senza alcun rispetto di fatto della sovranità nazionale di questi Paesi. Con il recente attacco indiretto all’Iran però, dove l’esercito israeliano ha bombardato un edificio dell’ambasciata iraniana a Damasco. Il governo Netanyahu ha inaugurato una nuova fase della guerra, creando le condizioni per un allargamento del conflitto quasi inevitabile. La Guida Suprema Iraniana infatti, l’ayatollah Ali Khamenei, ha avvertito lo Stato ebraico che si pentirà di aver sferrato l’attacco mortale contro il consolato della Repubblica islamica in Siria. E gli USA hanno avvertito Tel Aviv di possibili ritorsioni iraniane tramite le milizie notoriamente pro-Teheran come Hezbollah. A cui Israele risponde di essere pronto “a qualsiasi scenario”, dove le sue truppe ”sono ben schierate in formazioni difensive e offensive“.
La strategia suicida e terrificante di Israele: provocare una reazione
Ma l’appoggio da parte delle piazze e all’interno del governo nei riguardi della leadership di Netanyahu è sempre più debole. Per la prima volta il leader centrista Benny Gantz è uscito allo scoperto e ha chiesto di indire elezioni per Settembre. A cui hanno fatto eco gli Stati Uniti dove il leader dei democratici al Senato, Chuck Schumer, ha definito la richiesta “la cosa giusta da fare“. Ma rischiano di rimanere solo parole al vento e di facciata. La posizione di Washington è stata infatti sin dall’inizio parecchio incongruente. Le affermazioni pubbliche degli USA non corrispondono a quelle sul campo, dove Washington continua ininterrottamente a rifornire di armi Israele. Lasciando ben intuire quanto sia potente oggi l’influenza di Tel Aviv all’interno del Congresso americano. Anche se rischia di portare il mondo intero verso un conflitto globale. Netanyahu, infatti, non ha alcun intenzione di cedere, né di creare le condizioni per un cessate il fuoco.
Secondo fonti USA, il premier israeliano sta preparando l’invasione via terra a Rafah e si realizzerà quasi sicuramente alla fine del Ramadan, che terminerà fra circa 10 giorni. Ormai il premier infatti non ha più margini per tornare indietro nella sua repressione violenta, che significherebbe automaticamente la sua sconfitta politica. L’esercito israeliano sta dunque alzando il tiro. In Libano non colpisce più solo le aree intorno alla Linea Blu, dove è schierata l’Unifil con il contingente italiano, ma addirittura la valle di Baalbek che è nell’entroterra ed è più a nord. Lo scopo di Netanyahu è la provocazione portata all’estremo limite: spingere Pasdaran iraniani e Hezbollah libanesi ad una reazione fuori luogo e non calcolata che possa legittimarlo a lanciare un attacco contro il Libano e il regime di Teheran. Un vero suicidio per tutta la regione e il mondo intero.