L’economia globale, posta fortemente sotto pressione dal quadro internazionale, non da segnali di distensione. Al contrario il blocco occidentale, al primo posto l’Europa, è oggi in serio pericolo. Il petrolio infatti ha fatto un balzo del 20% da inizio anno.
Il taglio ai tassi d’interesse dunque è sempre più lontano e l’inflazione non scenderà affatto come sperato. In un quadro tanto tempestoso, anche l’oro sta toccando picchi storici. Dietro questo massiccio acquisto però vi sarebbero non solo ragioni economiche, ma anche politiche. Come la guerra in Medio Oriente e la possibile ritorsione iraniana contro Israele, a seguito dell’attacco dell’IDF a Damasco. Che contribuisce oggi a mettere sotto pressione le maggiori piazze affari del mondo, che temono, ancora una volta, il peggio.
Petrolio e corsa all’oro: l’OPEC+ e le guerre spaventano gli investitori
L’oro è notoriamente il bene rifugio per eccellenza, e dunque in un quadro internazionale tanto drammatico, ha ovviamente preso a volare. Raggiungendo il massimo storico di 2304$ l’oncia. Dietro questa corsa però si nasconderebbero vari fattori trainanti. Sicuramente la situazione geopolitica attuale e il clima di incertezza, sta innervosendo gli investitori. La ritorsione dell’Iran soprattutto, dopo l’attacco israeliano a Damasco, spinge i mercati al ribasso. Il mondo è col fiato sospeso infatti in attesa della risposta di Teheran che potrebbe far scattare un’altra guerra regionale, aumentando il rischio di una “Terza Guerra Mondiale”. Ma anche l’andamento della guerra in Ucraina contribuisce a inasprire i dubbi. Visti gli ottimi risultati della Russia sul campo e l’impossibilità per la NATO di agire direttamente.
Ma aldilà del clima geopolitico vi sono anche fattori economici a spingere gli investitori oggi verso l’oro. Come l’inflazione persistente, che non accenna a scendere anche a causa del prezzo del petrolio che è in rialzo da mesi. E che allontana la prospettiva del tanto agognato taglio ai tassi di interesse. Da inizio anno il greggio è infatti aumentato del 20%, in parte a causa degli attacchi dei droni ucraini alle raffinerie russe. Ma soprattutto per via dei tagli alla produzione dell’OPEC+, promossi in comune accordo da Arabia Saudita e Russia. Che da inizio anno hanno portato il greggio da 76$ a 90$ a barile. E se contiamo che nei mesi estivi solitamente il prezzo del greggio tende sempre a salire, non è difficile immaginare che entro luglio potrebbe raggiungere la soglia di 100$ al barile. Le economie dunque che non possono fare affidamento su materie prime a basso costo, come l’Europa, sono in serio pericolo.
Mosca e Rihad aumentano il proprio surplus economico
Russia e Arabia Saudita stanno incassando miliardi di dollari negli ultimi mesi, nonostante abbiano immesso meno barili nel mercato, proprio grazie ai tagli alla produzione che innalzano il prezzo. E questo surplus economico sta generando risorse importantissime per entrambi i Paesi. Rihad, infatti, per perseguire i propri mastodontici piani tecnologici verso la svolta green del Paese, ha bisogno di ingenti risorse. In larga parte generate dalla vendita del petrolio che sta contribuendo non poco a finanziare i progetti di Bin Salman. Inoltre Mosca, che a causa delle sanzioni è stata costretta per mesi a vendere il greggio con ampi sconti a Cina e India. Ora con le vendite alle stelle del greggio può dirsi garantiti i flussi necessari a sostenere il costo della guerra in Ucraina.
Rihad e Mosca per la precisione avrebbero levato dal mercato circa 5,9 milioni di barili al giorno, che equivalgono al 5,7% del consumo mondiale. Insomma una cifra non da poco. E questa strategia verrà estesa dai membri dell’OPEC+ almeno fino al secondo trimestre del 2024. I rischi di un deficit dell’offerta sono dunque molto alti. Senza contare che Mosca ha fatto sapere che ha intenzione di apportare ulteriori tagli alla produzione di altri 141mila barili al giorno. Una spada di Damocle dunque penzola sulla testa dell’Europa, che dalle oscillazioni del greggio è fortemente influenzata. Il taglio dei tassi è molto lontano e il rischio di un impennata inflazionistica è ormai dietro l’angolo.