Giovedì 27 e venerdì 28 giugno si svolgerà la riunione del Consiglio europeo a Bruxelles, perciò la premier Giorgia Meloni ha riferito le sue comunicazioni alla Camera dei deputati ed è andata giù dura. “Il nuovo Parlamento” europeo che si insedierà a metà luglio è “frutto delle indicazioni espresse nelle urne” ha sottolineato la presidente del Consiglio. Indicazioni che “hanno rappresentato una tappa molto importante nella storia d’Europa”. In questi mesi tutti hanno sostenuto la necessità di un cambiamento nelle politiche Ue, nessuno ha detto che sarebbe stato sufficiente mantenere lo status quo”.

L’Europa, ha sottolineato Meloni, “deve intraprendere una direzione diversa rispetto al posizionamento preso finora“. Fra le ragioni c’è “la disaffezione” dei cittadini verso la Ue, che si è “materializzata anche in un’astensione“. Un fenomeno massiccio che “non può lasciare indifferente” la classe dirigente che sembra “tentata dal nascondere la polvere sotto il tappeto continuando con logiche deludenti“. “Penso – ha detto la premier – che la nuova presidenza della Commissione dovrebbe pensare a una delega specifica alla sburocratizzazione per dare un segnale” di cambiamento.

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Meloni il no al “normare tutto

Bisogna “applicare anche in Europa il principio che applichiamo in Italia” ha continuato Giorgia Meloni senza tanti giri di parole. “Non disturbare chi vuole fare significa essere più attrattivi degli altri“. Occorre “disboscare la selva burocratica e amministrativa che finisce per essere un percorso a ostacoli che penalizza le imprese“.

La percezione che hanno avuto gli italiani e gli europei è di una Unione troppo invasiva. Che pretende di imporre come guidare, quanta terra coltivare, come va ristrutturata la casa“. E “mentre cerca di normare tutto finendo anche con il rischio di omologare culture, specificità geografiche e sociali, rimane più debole sugli scenari globali. Con il risultato di rendersi sempre più vulnerabile agli choc esterni”.

L’Italia e i migranti

In merito ai flussi migratori, Meloni ha parlato di obiettivi di “difesa dei confini esterni” e del contrasto al “business dei trafficanti di esseri umani” che sono “schiavisti del terzo millennio“. “Io credo che l’Ue, culla della civiltà occidentale, non possa più tollerare che un crimine come la schiavitù sia tollerato in altre forme“.

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Ad avviso della presidente del Consiglio i “memorandum con l’Egitto e la Tunisia” si devono replicare si devono rimuovere “le cause che spingono una persona” a lasciare la sua terra. Serve dar corpo al “diritto a non dover migrare“. “In Italia e nell’Unione europea – ha proseguito Meloni – si entra solo legalmente. Degli ingressi si occupano le istituzioni e non gli scafisti. Non consentiremo alle mafie di gestire gli ingressi in Italia, come fanno da diverso tempo. Mi stupisce che nessuno prima di noi se ne sia accorto“.

Le nomine Ue a Bruxelles

Intanto a Bruxelles non aspettano Giorgia Meloni. Le nomine dei cosiddetti ‘top jobs’ sono cosa fatta, decise dai leader che ‘danno le carte’ nella Ue: Emmanuel Macon e Olaf Scholz in primo luogo. E con loro il capo del Governo spagnolo, Pedro Sanchez, di quello greco, Kyriakos Mitsotakis, di quello polacco, Donald Tusk, e del neo segretario NATO ed ex premier olandese, Mark Rutte.

Salvo sorprese dell’ultimo minuto, il Consiglio europeo del 27 e 28 giugno darà il suo via libera al bis della democristiana tedesca Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione; alla premier liberale estone Kaja Kallas come Alto rappresentante della politica estera europea; all’ex premier socialista portoghese Antonio Costa quale presidente del Consiglio europeo. Un trio al quale con tutta probabilità si affiancherà la democristiana maltese Roberta Metsola – in quota Ppe – per il bis all’Eurocamera. Con o senza l’appoggio dei Conservatori di Giorgia Meloni. E di un Viktor Orban su tutte le furie per un’intesa che argina le destre europee.

Kaja Kallas, prossima Alta rappresentante della politica estera dell’Unione europea. Foto X @NonaMamulashvi

Meloni e la vicepresidenza all’Italia

Se al tavolo dei leader Ue tutto andrà liscio, l’ultimo ostacolo davanti a von der Leyen per agguantare il bis sarà il voto a metà luglio alla plenaria dell’Eurocamera. Dove l’incognita dei franchi tiratori resta viva, dati i risultati del voto dell’8 e 9 giugno, anche in Italia. In Aula la presidente della Commissione europea avrà bisogno della maggioranza assoluta: 361 deputati su 720. L’asse Ppe-S&D-Renew artefice dell’accordo sui top jobs conta in tutto 399 deputati. Un margine risicato. Per questo von der Leyen continuerà a lavorare a oltranza per ottenere il sostegno tra le altre forze, come i Verdi. Ma non è escluso che un sostegno lo dia anche Meloni: in cambio di una vicepresidenza di peso nella Commissione.