A seguito del deludente risultato delle elezioni francesi, l’Europa appare sempre più sprovvista di leader politici in grado di dettare il passo. L’asse Francia-Germania infatti, che per trent’anni ha imposto le linee guida in UE nella politica estera ed economica, appare più debole che mai. O addirittura totalmente in frantumi.
I presidenti Scholz e Macron sono stati letteralmente messi all’angolo dalle ultime elezioni europee, portando a casa un risultato più che deludente. Questa débâcle politica deve indurci anche a riflettere circa le reali volontà dei cittadini tedeschi e francesi nei riguardi della guerra in Ucraina. Dove il presidente della Repubblica francese negli ultimi mesi si è reso protagonista di un’acelerazione nei confronti di Mosca, paventando addirittura l’invio di truppe a Kiev. E raccogliendone poi di fatto i cocci rotti alle urne. Ma con i governi di Berlino e Parigi instabili e sempre più costretti a ricorrere a coalizioni di governo multi-colore per rimanere a galla, chi detterà la linea politica in Europa? Il baricentro si sta lentamente spostando ad Est, in chiave anti-Russia.
Elezioni in Francia: governo tecnico destinato a fallire?
A seguito delle elezioni politiche in Francia il partito di Macron recupera e riesce a strappare un sorprendente secondo posto. Ma la situazione rimane piuttosto drammatica. Parigi si ritrova a dover affrontare ora un difficilissimo stallo alla messicana. Trovandosi in una situazione molto simile a quella italiana a seguito delle politiche che consacrarono i governi tecnici prima di Conte e successivamente quello di Draghi. Al risultato delle urne difatti a Parigi non ha vinto nessuno, e le prime tre forze politiche del Paese sono agli antipodi dello scacchiere politico. Come la sinistra riformista di Melanchon, il partito liberal-democratico a cui appartiene Macron, e la destra di Marine Le Pen. Regalando la perfetta fotografia di un Paese che cova da tempo in realtà al suo interno importanti lotte intestine, e che ha visto nascere numerose mobilitazioni popolari negli ultimi anni. Dai “gilet gialli“, alle proteste contro la riforma delle pensioni.
Per arginare l’ascesa politica di Marine Le Pen, gli esperti ora si aspettano la formazione di un governo tecnico. La Le Pen ha già pubblicamente dichiarato che non intende scendere a compromessi e che non farà mai parte di un governo che abbia al suo interno il partito di Macron. Ogni eventuale maggioranza di governo però risulterà piuttosto variopinta, e se prendiamo il caso italiano, ha buone possibilità di risultare alla fine un fallimento politico. E di concludersi come un infelice parentesi, utile solo ai partiti per recuperare nel frattempo consensi per la prossima tornata elettorale. L’imminenza delle elezioni del 2027 in Francia infatti per il presidente della Repubblica, rappresentano un traguardo molto vicino per Melanchon e Le Pen per accaparrarsi una vittoria più netta. In Italia la caduta del governo tecnico di Draghi dopotutto è stata la chiave di volta per la rivincita di Giorgia Meloni. Che a sua volta si rifiutò di far parte dei governi Conte e Draghi.
I venti di guerra in Europa: il baricentro a Est
Ma il risultato francese ci impone un’altra importante riflessione. In Europa sempre più spesso si assiste a tornate elettorali che non restituiscono più un chiaro indirizzo politico. Questo non è affatto un sintomo di una cattiva salute della democrazie occidentali come molti detrattori sostengono. Il fulcro di una sana vita democratica è proprio quello di dare spazio al dissenso e dunque anche a forze politiche agli antipodi. L’instabilità politica però che sta attraversando il Vecchio Continente è chiaramente un esplicito tentativo da parte di varie frange della società di cambiare rotta. Votando partiti anti-sistema per opporsi ad uno status quo nella quale non credono più e non si sentono più rappresentati. Il presidente Macron aldilà delle questioni domestiche, come la riforma delle pensioni, si è reso recentemente protagonista in ambito internazionale di un accelerazione nei confronti di Mosca, che sicuramente non è piaciuto a gran parte dell’elettorato.
Il voto in Francia alle europee infatti ha visto letteralmente crollare i consensi attorno a Macron, e questo racconta molto delle reali volontà francesi sulla guerra. Dove anche il presidente tedesco Scholz non ha certo potuto cantare vittoria. La Germania post-Merkel infatti ha completamente stravolto la propria posizione geopolitica, interrompendo i flussi di gas russo e raffreddando i rapporti con Pechino. Scelte che non hanno di certo premiato i governi nazionali di Parigi e Berlino. E con un asse franco-tedesco sempre più debole, incapace di esprimere una linea strettamente europeista, distaccata da Washington, il presentimento è quello di un UE alla deriva. Dove il baricentro sembra spostarsi sempre più a Est.
Il caso Kaja Kallas: l’UE procede con il braccio di ferro
Non a caso come alto rappresentate della politica estera è stata nominata la premier estone Kaja Kallas. In un Europa dove imperversa la paura di una possibile guerra con il Cremlino, l’UE ha schierato propositamente un esponente di un ex Paese sovietico. Antiputiniana per eccellenza, in questi mesi la Kallas ha esortato gli altri leader UE a sostenere con fermezza sia finanziariamente, che militarmente Kiev. Ed ha promosso nel 2022 in Parlamento, un provvedimento che prevedeva la distruzione di tutti i monumenti sovietici. Alcuni esperti hanno dichiarato nei suoi riguardi che “la Russia è la sua ossessione”. Anziché lanciare un segnale politico simbolico di dialogo, l’UE procede inesorabilmente nel braccio di ferro con Mosca. E questo sembra non piacere più a gran parte degli europei.