Il recente attacco nelle alture del Golan che secondo la stampa israeliana sarebbe opera delle milizie di Hezbollah, fa sorgere parecchi dubbi. Tra gli esperti oggi c’è chi dubita fortemente che possa trattarsi di un deliberato attentato della milizia filo-iraniana, dal momento che la popolazione che abita questo lembo di terra è in gran parte filo-siriana. Aleggia il sospetto di un possibile tentativo del presidente Netanyahu di allargare il conflitto.
In un momento dove al tavolo delle trattative alcune fonti estere parlano di un possibile raggiungimento di un accordo per il cessate il fuoco a Gaza. E dal momento che sul presidente Netanyahu e sul suo Ministro della difesa, pende una richiesta di arresto della corte penale internazionale. La popolarità del governo di Tel Aviv oggi è a minimi storici e l’attacco al Libano potrebbe rappresentare un ultimo disperato tentativo. Dopotutto non sarebbe la prima volta che il governo di Tel Aviv si spinge oltre la linea rossa. Anche il deliberato attacco all’ambasciata iraniana a Damasco per opera del governo israeliano ha rischiato a suo tempo di innescare la reazione iraniana che avrebbe decretato l’ingresso di più potenze in campo.
Netanyahu e la comunità dei drusi: l’identità filo-siriana della popolazione
Secondo un paradosso tutto occidentale, oggi i media mainstream continuano a dare credibilità alle versioni di un governo con a capo un premier, Benjamin Netanyahu, attualmente condannato dalla corte penale internazionale per crimini di guerra. Un tribunale la cui giurisdizione è riconosciuta dalla quasi totalità dei Paesi europei. Eppure ridondati prontamente vengono date per assodato le notizie via via fornite da Tel Aviv, mentre troppo poco spazio è concesso al dubbio. Come accaduto circa il probabile attacco delle milizie di Hezbollah nelle alture del Golan che fa acqua un pò da tutte le parti. Prima di tutto questo pezzo di terra al confine con la Siria, non è ufficialmente territorio israeliano ma è occupato da decenni illegalmente da Israele. Nel 48 infatti era territorio siriano, ed è solo con la guerra dei 6 giorni nel 67 che le alture vengono occupate da Tel Aviv.
Nello specifico le Alture del Golan sono state occupate e poi annesse da Israele con una legge unilaterale nel 1981. Dove 3 giorni dopo, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu con votazione all’unanimità, si espresse prontamente a favore dell’annullamento della legge. Quando i media del governo Netanyahu dunque promuovono oggi l’attacco come un attentato al cuore dello Stato ebraico non è propriamente corretto. Le alture del Golan sono tutt’ora un territorio illegalmente occupato da Tel Aviv, e solo il presidente USA, Donald Trump, nel 2019 ne ha riconosciuto a Israele la giurisdizione. Ma gli abitanti di questo lembo di terra, sopratutto della parte settentrionale colpita dal razzo, non si riconoscono affatto nel governo israeliano. La comunità dei drusi infatti, è un gruppo etno-religioso di derivazione araba. E negli anni non ha mai richiesto di essere riconosciuta da Israele ne tantomeno ha adottato il passaporto israeliano, perché ancora profondamente legata alla propria identità siriana.
Israele e l’allargamento del conflitto: il premier Bibi è politicamente distrutto
Il sentimento di appartenenza alla confinante Siria è infatti talmente radicato che numerosi cittadini appartenenti alla comunità dei Drusi molto spesso si recano a concludere i propri studi a Damasco. Per questo motivo è alquanto bizzarro pensare che la milizia filo-iraniana per colpire Israele abbia mirato a questa piccola comunità fondamentalmente filo-araba in segno di rappresaglia. Piuttosto sarebbe ragionevole ed auspicabile un inchiesta sull’accaduto. Come suggerito anche dall’Alto rappresentate per gli affari esteri dell’Unione Europea, Josep Borrell, che non a caso parla della necessità di un “indagine internazionale indipendente” prima che sia troppo tardi. Ben consapevole di quanto risulti prematuro affibbiare l’attacco a Hezbollah e dei rischi di escalation che questo potrebbe comportare. Il presidente Netanyahu infatti parla di una risposta dura e feroce.
Il premier israeliano dopotutto avrebbe più di un motivo di allargare il conflitto fino al Libano. Dato che in primis la sua immagine politica oggi è seriamente compromessa dalla condanna della corte penale internazionale. E visto il fallimento del suo governo nell’estirpare per sempre Hamas. Che ha portato solo al risultato di un drammatico massacro di donne e bambini sotto gli occhi di tutto il mondo. Il tempo per Bibi per innescare l’escalation e per tentare un ultimo disperato tentativo è molto poco. Secondo fonti estere infatti ai tavoli dei negoziati si procede su un cessate il fuoco a Gaza. Dalla quale politicamente Netanyahu rischia di uscirne distrutto. Il problema è che i fedelissimi alleati USA, nonostante contribuiscono oggi ad armare Tel Aviv fino ai denti, non possono assolutamente permettersi un all’allargamento del conflitto. Le guerre in Ucraina e a Gaza sono una spina nel fianco per i Democratici, sapientemente sfruttate da Donald Trump.