La puzza di bruciato si sentiva da tempo, ma adesso è anche l’ex presidente della BCE, Mario Draghi, a gridare l’allarme e avvertire l’Europa che “Troia Brucia!”. L’UE rischia infatti di crollare, ed è rimasto davvero troppo poco tempo.

Mario Draghi/ FOTO ANSA

In questi giorni Draghi avrebbe consegnato alla Commissione UE, un rapporto sul futuro della competitività europea che non lascia scampo. In questi ultimi trent’anni l’Europa è rimasta a guardare ed ha fallito. Mentre gli USA infatti continuano a trarre profitto dalla guerra in Ucraina, attraverso la vendita di GNL e armi. L’Europa ha ricevuto l’ennesimo colpo di grazia, rinunciando alla sua principale fonte di approvvigionamento a basso costo come il gas russo. Ma anche nelle tecnologie e la ricerca gli USA sovrastano il vecchio continente, che dipende da decenni in toto dallo zio Sam. Che in guerra commerciale con la Cina, aumenta dazi e incentivi statali che strozzano ulteriormente l’economia UE. La finestra temporale per risalire la china sono vent’anni al massimo. Altrimenti Cina e USA ci leveranno anche l’ultimo barlume di indipendenza.

Il declino dell’Europa: la tendenza a cui assistiamo oggi

L’Europa è in una gravissima crisi politica ed economica. Il vecchio continente, che ha rappresentato per millenni il cuore pulsante della civiltà occidentale, rischia in due decenni di soccombere. E di diventare solo parte di un ingranaggio che non garantirà alcun margine di manovra agli Stati europei. Che saranno costretti a a quel punto a seguire la scia e i dettami di decisioni prese altrove. Una tendenza a cui in parte assistiamo già oggi. Dove l’Europa appare un nano politico senza alcuna voce in capitolo, sulle questioni geopolitiche più scottanti. Come la guerra in Ucraina e quella in Medio Oriente, dove l’imperativo atlantista sembra dominare incontrastato da ovest a est dell’UE. Ma la decadenza politica non è che lo specchio della catastrofe economica dell’Europa di questi trent’anni. Nella quale si è aperto un ampio divario nel PIL tra l’UE e gli Stati Uniti, guidato sopratutto dal rallentamento della crescita della produttività europea.

Ursula Von Der Leyen/ FOTO ANSA

Ricerca, tecnologie, intelligenza artificiale, materie prime, sono solo alcuni dei settori identificati dall’ex presidente della BCE, Mario Draghi, dove l’UE è in completa crisi. Mentre Washington e Pechino dettano legge. Senza il gas russo le aziende dell’UE oggi affrontano prezzi dell’elettricità che sono 2-3 volte quelli degli Stati Uniti. I prezzi del gas naturale pagati sono 4-5 volte superiori. Un divario dovuto non solo alla mancanza di risorse naturali in Europa, ma anche a problemi fondamentali del nostro mercato energetico comune. Dove la progressiva finanziarizzazione del mercato del gas sta portando più danni che benefici.  Draghi stesso nel suo rapporto infatti ha ammesso che nella speculazione energetica le rendite finanziarie hanno raggiunto un livello di concentrazione senza precedenti. Affermando che “una manciata di corporation svolgono la maggior parte delle attività commerciali”. Oligarchie del gas e del petrolio che oggi governano il mercato.

L’Europa senza strategie industriali: materie prime del futuro e la difesa

E purtroppo anche riguardo l’approvvigionamento delle materie prime del futuro la situazione non cambia. Tutti quei materiali indispensabili per la transizione ecologica e digitale, oggi sono concentrate nelle mani di pochissimi e nessuno di questi è uno Stato europeo. Il 47% della produzione di litio è in mano all’Australia, il 49% del nichel all’Indonesia, il 74% del cobalto alla Repubblica Democratica del Congo, oltre il 70% di tutte le terre rare alla Cina. Con il paradosso che ora l’UE sta investendo per cominciare a produrre batterie, senza essersi assicurata la fornitura che ne dovrà arrivare dall’esterno, e principalmente dalla Cina. Un paese che Washington ha definito come uno dei principali nemici. E che dunque cercherà di isolare nei prossimi decenni, imponendo all’UE di fare altrettanto. La questione dell’approvvigionamento energetico rappresenta la base dello sviluppo del proprio apparato industriale. E se queste sono le basi della macchina industriale europea appare evidente quanto la situazione sia totalmente sfuggita di mano e sia allarmante.

Manifestazioni contro Europa/ FOTO ANSA

Anche nel settore della difesa, tornato cruciale vista la crescente insicurezza globale, l’UE è poco strutturata e non dimostra di favorire la competitività delle aziende europee. Tra la metà del 2022 e la metà del 2023 infatti, il 78% della spesa totale per gli acquisti è stata destinata a fornitori extra-UE, di cui il 63% agli Stati Uniti. Nonostante dunque il Vecchio Continente possieda in questo settore tecnologie di altissimo livello, continuiamo a impinguire le casse di Washington. Che dietro l’ombrello NATO si garantisce flussi di acquisti costanti di armi made in USA. Il punto è che l’UE non si coordina dove è importante, e non è mai riuscita ad attuare delle strategie industriali di ampio respiro. La sensazione è che in questi trent’anni si sia parlato troppo e a sproposito di debito pubblico e di patto di stabilità, ma nessuno abbia mai preso in seria considerazione un problema molto più grande. L’unica vera cura al debito pubblico: la crescita. E adesso potrebbe essere già troppo tardi.

L’UE da gigante burocratico ad attore politico ed economico

La quota dell’UE nel commercio mondiale sta diminuendo, con un calo ancora più notevole dall’inizio della pandemia. La posizione dell’UE nelle tecnologie avanzate che guideranno la crescita futura è in declino. Difatti solo quattro delle prime 50 aziende tecnologiche del mondo sono europee. Il vecchio continente deve urgentemente accelerare il proprio tasso di innovazione sia per mantenere la propria leadership produttiva sia per sviluppare nuove tecnologie innovative. E per farlo servono investimenti mirati  e soprattutto un grande sforzo comune. è giunto il momento che l’UE smetta di essere soltanto un gigante burocratico ma prenda le sembianze di un attore economico e politico. Che non sia preda delle grandi lobby internazionali e di potenze oltreoceano, ma faccia gli interessi dell’industria europea. Il tempo che ci resta sta per scadere.