La decisione era nell’aria e ora è diventata ufficiale: Milano non ospiterà la finale di Champions League 2027. Lo ha reso noto la Uefa in un comunicato al termine della riunione del Comitato Esecutivo della Uefa a Praga.
Poiché il Comune di Milano “non poteva garantire che lo stadio San Siro e le aree circostanti non sarebbero stati interessati da lavori di ristrutturazione nel periodo della finale della UEFA Champions League 2027, si è deciso di non assegnare la finale a Milano. E di riaprire il processo di candidatura per nominare una sede adeguata, con una decisione attesa per maggio/giugno 2025“, si legge nel comunicato.
La questione del nuovo stadio
In un primo momento l’assegnazione sembrava automatica: alla Uefa infatti erano arrivate solo due candidature per ospitare le finali di Champions League 2026 e 2027, quelle di Milano e Budapest. La Uefa nelle scorse settimane aveva deciso di affidare l’organizzazione della finale 2026 alla capitale ungherese, scegliendo invece San Siro per l’ultimo atto del 2027, ma con un asterisco, dovuto alla ancora irrisolta questione del nuovo stadio di Inter e Milan.
I due club nei giorni scorsi hanno rigettato la proposta di ristrutturazione del Meazza che ha fatto WeBuild, così la Figc non ha potuto fornire le adeguate garanzie al massimo organismo calcistico europeo. E Milano si è giocata la possibilità di ospitare la finale di Champions League per la prima volta dopo 26 anni. Milan e Inter hanno una sola soluzione per liberarsi del vincolo posto dalla Sovrintendenza su San Siro, per l’esattezza sul secondo anello: diventare proprietari dello stadio.
La Sovrintendente di Milano
A spiegarlo una volta per tutte è stata Emanuela Carpani, Sovrintendente all’Archeologia, alle Belle Arti e al Paesaggio per la Città Metropolitana di Milano. Il vincolo scatterà nel 2025, allo scoccare dei 70 anni dall’edificazione delle caratteristiche rampe che avvolgono il Meazza come in un abbraccio.
Da qui il chiarimento della Sovrintendente: “Quando un bene passa da una proprietà pubblica a una privata viene meno l’istituto della tutela ‘de iure’, che stabilisce che i beni pubblici aventi più di 70 anni sono automaticamente sottoposti a disciplina di tutela. Finché non si fa la verifica di interesse culturale” ha fatto sapere Carpani.
“Se un bene diventa privato – ha poi ripetuto Carpani – questa tutela de iure non scatta per legge. Questo può valere per lo stadio di San Siro e per tutti i beni di proprietà pubblica che vengono venduti prima dei 70 anni”. Quanto alle ipotesi di rendere un po’ più leggero il vincolo, la Sovrintendente è netta: “I vincoli non si inventano. Per fare un provvedimento di tutela bisogna motivarlo in modo tale che possa reggere un eventuale contenzioso. Sono atti declarativi e non attributivi, che riconoscono valori intrinsechi“.
Inter e Milan devono decidersi
Ora la palla torna di nuovo ai due club. Inter e Milan devono chiarire definitivamente le loro intenzioni sull’area dello stadio di San Siro. Vale a dire: se intendano procedere con la realizzazione di un secondo stadio per Milano accanto all’attuale.
Oppure se siano disposte a lavorare solo sul Meazza, ammodernandolo secondo i loro standard, o, infine, se le strade che portano nell’hinterland – leggi: San Donato per il Milan e Rozzano per l’Inter – siano davvero percorribili, al di là delle dichiarazioni strategiche e di quel gioco delle parti che accompagna ogni negoziato. Nel frattempo il sindaco Giuseppe Sala accoglie con sollievo le parole della Sovrintendente Carpani. E sottolinea la necessità di avere il prima possibile dall’Agenzia delle Entrate una stima del valore di San Siro e delle aree immediatamente a ridosso. Un incontro a tal proposito è in agenda nei prossimi giorni.