Il Dottor Nicolò Mauro è ricercatore finanziato dalla Fondazione Umberto Veronesi. Dopo una laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche e un dottorato di ricerca in Biomateriali presso l’Università di Pisa, oggi dedica la sua vita alla ricerca nel campo del tumore al seno. Nello specifico concentra i suoi studi in ambito oncologico, con attenzione allo sviluppo di nanotecnologie per la diagnosi e il trattamento mirato del tumore al seno.
Il suo lavoro si inserisce all’interno di un ampio progetto di ricerca, svolto presso il laboratorio di Polimeri Biocompatibli dell’Università Degli studi di Palermo diretto dal Prof. Gaetano Giammona. Si tratta di una ricerca che nasce in seno al progetto Pink is Good, promosso dalla Fondazione Umberto Veronesi.
Con noi di VelvetMag, in occasione del mese della prevenzione del tumore al seno che durerà per tutto ottobre, il Dottor Nicolò Mauro ha scelto di condividere gli obiettivi e i risultati parziali del suo lavoro.
Dottor Mauro, ci parli del suo studio: di cosa si occupa? Cosa sono le nanotecnologie per la medicina di precisione?
Colgo l’occasione per ricordare che ottobre è il mese dedicato a livello internazionale alla prevenzione del tumore al seno, ambito in cui opero da cinque anni presso l’Università Degli Studi di Palermo. Dal 2018 le nostre ricerche sono cofinanziate dalla Fondazione Umberto Veronesi, nel contesto del progetto “Pink is good”, che mira a sostenere in modo concreto la ricerca, finanziando borse per medici e scienziati che dedicano la loro vita allo studio e alla cura del tumore al seno, all’utero e alle ovaie.
Nella fattispecie, la Fondazione ha deciso di supportare le mie ricerche per lo sviluppo di nuove nanotecnologie atte a riconoscere, monitorare e uccidere le cellule tumorali in maniera assolutamente non invasiva, ossia senza attaccare le cellule sane dei tessuti normali. Tutto ciò rilasciando in sede tumorale segnali magnetici e luminosi, che permettono l’identificazione del tumore primario e di eventuali metastasi.
Tramite queste tecnologie sarà possibile, addirittura, riconoscere anche le singole cellule tumorali eventualmente “scappate” dal tumore durante la resezione chirurgica, diminuendo così le recidive. Al contempo, queste nanotecnologie si comportano come dei “cavalli di troia” e, una volta inglobate dalle cellule tumorali, possono essere attivate dall’esterno tramite dei led per generare calore e sostanze bioattive capaci di indurre modifiche favorevoli del microambiente tumorale, e propedeutiche all’eliminazione selettiva delle cellule tumorali.
In questo modo sarà possibile tracciare una mappa della massa tumorale e delle metastasi tramite tecniche di imaging, ed eradicarla selettivamente mediante impulsi luminosi che ne determinano il surriscaldamento e l’attivazione della chemioterapia in loco. In questo senso si parla di nanomedicina di precisione, poiché sarà possibile monitorare il decorso della malattia durante il trattamento del singolo paziente, ed eventualmente adattarla alle esigenze terapeutiche.
Quanto siete vicini ad un risultato concreto?
Ad oggi abbiamo sviluppato diversi prototipi che si sono dimostrati efficaci in test preclinici in vitro ed ex vivo. Abbiamo già la certezza che le nanotecnologie da noi progettate e testate possono restituire immagini ad alta risoluzione della massa tumorale, sia tramite tecniche di imaging a fluorescenza che tramite tecniche di risonanza magnetica nucleare, permettendo così il trattamento mirato del tumore.
Recenti risultati pubblicati dalla rivista dell’ACS Applied Materials & Interfaces dell’American Chemical Society hanno anche chiarito che è possibile ottenere la morte selettiva delle sole cellule tumorali a seguito della somministrazione in sede tumorale di luce a diodi di per se biocompatibile. Infatti, una volta nel sito tumorale, gli impulsi luminosi possono debellare le cellule del tumore attivando i nanosistemi penetrati nella massa tumorale stessa. Si deve immaginare questa tecnologia come un microbisturi di precisione che può essere attivato dal medico sulla base delle esigenze mediche, in remoto ed in maniera mirata.
Abbiamo anche dimostrato che la risposta di ogni singolo paziente alle nanotecnologie è prevedibile a priori, utilizzando test semplici e permettendo una selezione a monte dei pazienti più adatti a ricevere il trattamento. Proprio in questi giorni stiamo depositando una domanda di brevetto di una particolare nanotecnologia, che permetterebbe addirittura di far capire al medico in che modo il paziente risponde al trattamento nanotecnologico, senza la necessità di svolgere analisi invasive e dispendiose.
Questo approccio innovativo cambierà il modo di interpretare la terapia contro il tumore, perché si potrà adattare la terapia sulla base delle singole risposte osservate a breve termine nel paziente trattato.
Quale sarà il prossimo passo da compiere nella ricerca sul tumore al seno?
Il prossimo passo nella ricerca per il tumore al seno sarà quello di testare queste nanotecnologie su modelli preclinici più avanzati, per poi passare alla sperimentazione clinica nell’uomo. Per questo, tuttavia, ci vorrà ancora del tempo considerato che bisogna sempre garantire la salute dei pazienti. Infatti, è eticamente e scientificamente necessario valutare scrupolosamente ed oggettivamente se la sperimentazione clinica può portare effettivi benefici al paziente che si sottopone al trattamento sperimentale.
In che modo queste ricerche potrebbero aiutare i pazienti in futuro?
Queste nanotecnologie potranno avere importanti ricadute cliniche, grazie all’aumento di precisione ed efficacia del trattamento e alla possibilità di eliminare anche piccole metastasi. Il medico, tramite l’ausilio di queste nanotecnologie potrà identificare con massima precisione il tumore primario ed eventuali metastasi con una singola somministrazione sistemica.
Allo stesso tempo, utilizzando le immagini provenienti da queste nanomacchine, sarà possibile debellare le cellule tumorali dall’esterno, secondo il processo che ho chiarito prima. I vantaggi per il paziente potranno essere molteplici, includendo la riduzione dei tempi per il trattamento, la personalizzazione dello stesso, un aumento di efficacia terapeutica e la riduzione degli effetti collaterali a breve e lungo termine.
Quali sono i limiti che come ricercatori dovete affrontare in Italia?
Vorrei sottolineare che noi ricercatori italiani siamo tra i più produttivi al mondo se si considerano il numero e la qualità delle ricerche pubblicate ogni anno, comparate ai finanziamenti pubblici e privati elargiti. Questo a sottolineare che in Italia, contrariamente a quanto si creda, c’è molta eccellenza che andrebbe valorizzata. Tuttavia, i limiti sono molteplici e cambiano in base alla zona di lavoro.
In primo luogo, spesso ci si trova a dovere affrontare trafile burocratiche infinite per poter semplicemente esplicare le ricerche scientifiche programmate. Per esempio, i ricercatori universitari per fare un esperimento si devono anche procurare i reagenti e quindi occuparsi degli ordini, delle varie richieste, confrontandosi molto spesso con burocrati che si adoperano a complicare ogni cosa.
Per dirne una, di recente ho dovuto riparare un paio di PC utili alle attività di ricerca e ho dovuto fare tre dichiarazioni, due richieste e una decina di telefonate… Questo è un elemento di distrazione non indifferente! A questo bisogna anche aggiungere tutto il tempo che viene occupato dalla richiesta di fondi per la ricerca, sempre più rari e soggetti a forte competizione, e quello necessario a richiedere permessi per la sperimentazione. Basti pensare che per richiedere i permessi ministeriali per la sperimentazione animale, che ricordiamo essere necessaria e obbligatoria per lo sviluppo di nuove medicine, bisogna scrivere dei progetti dedicati e (di recente introduzione) pagare per far valutare il progetto.
Tutto questo accade mentre i colleghi americani e cinesi procedono speditamente e, proprio per questo, spesso riescono ad anticipare i nostri risultati. Chiaramente ciò comporta aver sprecato tempo e denaro!
Cosa potrebbe migliorare per il lavoro che svolge insieme ai suoi colleghi?
La ricerca può essere migliorata raggiungendo la consapevolezza sociale che i paesi più ricchi e in salute sono quelli che investono di più in ricerca. Bisogna capire che la ricerca è l’unico modo per diventare competitivi e produrre ricchezza, per promuovere lo stato di benessere della popolazione.
Andrebbero potenziati i finanziamenti per la ricerca e i finanziamenti strutturali rivolti alle strutture pubbliche che si dedicano alla ricerca di base ed applicativa. Inoltre, bisognerebbe premiare le aziende che investono in ricerca e sviluppo, creando valore aggiunto e sviluppando prodotti sempre più innovativi. Bisognerebbe anche istituire degli enti di ricerca per la ricerca traslazionale, quella branca della ricerca che trasforma un’invenzione in un prodotto, per garantire la valorizzazione dei prodotti della ricerca in termini economici. Senza questi elementi difficilmente si potrà osservare un miglioramento.
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