Da sempre portavoce dell’inclusività, la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia si è fatta carico di scelte talvolta coraggiose nel corso dei suoi 77 anni di svolgimento. È il caso, questo, del 62° Leone d’Oro, assegnato nel 2005 a I segreti di Brokeback Mountain, per la regia di Ang Lee. Il progetto, che raccoglie il testimone da Così ridevano di Gianni Amelio, ci conduce verso una nuova accezione della discriminazione, in tale occasione di genere, che diventa un po’ il leitmotiv di questo percorso alla scoperta della Venezia “cinematografica” e dell’universalità della settima arte. Mentre il Lido, dunque, si prepara alla proiezione, in anteprima mondiale di The Lost Daughter, debutto alla regia di Maggie Gyllenhaal, la nostra attenzione torna invece sul fratello minore, Jake Gyllenhaal, co-protagonista insieme al compianto Heath Ledger del cult movie. Un film, tutto sommato, che ha ancora tanto da dare: ecco perché.
I segreti di Brokeback Mountain: una lavorazione travagliata per un progetto rischioso
Basata sul racconto Gente del Wyoming (Brokeback Mountain, nella versione originale), la pellicola ha avuto una lavorazione travagliata. Scritta da Annie Proulx e pubblicata sulle pagine del New Yorker nel 1997, la storia attirò fin da subito l’attenzione su di sé. Già due anni dopo, nel 1999, infatti, ha visto la luce la sceneggiatura scritta dal premio Pulitzer Larry McMurtry insieme a Diana Ossana. Ciononostante, nessuno ha voluto prendersi il rischio di produrre un progetto del genere.
Da un regista all’altro: inizialmente proposto a Gus Van Sant – che con Belli e Dannati del 1991 aveva già gettato nella rappresentazione di genere al cinema – il regista rinunciò al progetto dopo il rifiuto di Matt Damon. I segreti di Brokeback Mountain, dunque, è passato a Pedro Almodovar, da sempre lontano dalle produzioni hollywoodiane. Quando il progetto sembrava ormai essersi impantanato, è stato proposto il nome di Ang Lee. Il regista taiwanese, distintosi grazie alla sua abilità nel sapersi giostrare a diversi contesti produttivi, aveva già affrontato la tematica dell’omosessualità con Il banchetto di nozze. Al contempo, il fil rouge dei suoi lavori risiedeva nell’eterna tensione tra aspettative sociali e sentimenti nascosti. Un mix che racchiudeva in sé la chiave interpretativa per Brokeback Mountain.
La scelta degli attori
E qui, la pellicola ha riscontrato non pochi problemi (ancora). Inizialmente, oltre al già citato Matt Damon, erano stati proposti Mark Wahlberg, il quale aveva rifiutato ammettendo che il progetto gli desse i brividi, e Joaquin Phoenix. Tuttavia, la scelta alla fine ricadde su Jack Gyllenhaal e Heath Ledger. I due già si erano conosciuti in occasione dei provini per il ruolo di Christian in Moulin Rouge! – affidato poi a Ewan McGregor. Durante quel primo approccio, i due interpreti avevano sviluppato un intenso legame di amicizia che a Lee tolse ogni dubbio: loro sarebbero stati i suoi Jack Twist (Gyllenhaal) ed Ennis Del Mar (Ledger). A completare il cast, nel ruolo delle rispettive compagne, Anne Hathaway e Michelle Williams. I segreti di Brokeback Mountain era dunque pronto a scandagliare gli animi del pubblico, offrendo un importante esempio nella rappresentazione di genere.
“Tutto inizia e tutto finisce a Brokeback Mountain“
La storia si apre in Wyoming, nel 1963. Jack Twist ed Ennis Del Mar si conoscono per caso, in cerca di un impiego stagionale, che infine ottengono. I due dovranno condurre al pascolo un gregge di pecore presso la località che dà il titolo al film, Brokeback Mountain. Il primo si mostra fin da subito aperto al dialogo, in netta antitesi con il secondo, schivo e introverso. L’isolamento nel corso dei mesi estivi spinge i due giovani sempre più vicini, portandoli ad unirsi. Ma tra loro, nasce qualcosa di ben più profondo che non una semplice necessità di contatto: entrambi si riscoprono, l’uno nell’altro. Tuttavia, il contesto storico e culturale non permette loro di vivere quella che, all’epoca, è giudicata come una devianza. “Tutto inizia e tutto finisce a Brokeback Mountain.” – così dirà Ennis, disteso al fianco di Jake, affinché sia chiaro che si tratti di una fase. I due torneranno perciò alle rispettive vite, sposandosi e mettendo su famiglia. Ma un giorno, dopo essersi incontrati di nuovo, capiranno che la natura non può essere repressa in eterno.
Perché è importante ancora oggi I segreti di Brokeback Mountain?
Quando si parla di omosessualità al cinema, troppo spesso si gira lo sguardo altrove. La si può lasciare intendere in maniera più o meno velata, con una certa dose di comicità (il personaggio di Occhiofino ne Il Sorpasso, Dino Risi, 1962) o anche in modo colorito (Il vizietto Édouard Molina, 1978), ma occhio a problematizzarla. O, peggio ancora, a normalizzarla. Troppo spesso relegata all’ambito delle sottoculture, ben rappresentate nell’ambito del cosiddetto cinema della trasgressione, la rappresentazione Queer (categoria “ombrello” che racchiude tutte le sfumature del mondo LGBTQ+) ha cominciato ad essere sdoganata a partire dagli anni Ottanta/Novanta. Pur rimanendo in un circuito indipendente, le pellicole del periodo hanno offerto una rappresentazione ben più complessa, meno “farsesca”. Fino a quando, nelle sale cinematografiche, frutto di una grande produzione, arrivò I segreti di Brokeback Mountain.
Il film del 2005 ha il grande merito, tra i primi in assoluto, di aver liberato definitivamente dall’armadio (“Coming Out of the Closet” è un’espressione inglese che indica l’azione di uscire allo scoperto) quelle storie, storicamente relegate alle sottocategorie. L’amore di Ennis e Jack emerge in tutta la sua forza più viscerale e ancestrale e lo fa rivolgendosi al pubblico più ampio possibile. Spinti dal desiderio di affermazione del sé, di rivendicazione della propria natura, come a dire: “Noi esistiamo e ci siamo“, si offrono al grande schermo. Scevri di quell’immagine pittoresca, troppo spesso limitante, Ennis e Jake sono la voce di chi non pretende altro se non essere riconosciuto per quel che è. E che, soprattutto, non vuole più vivere in segreto.
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