Se con Il segreto di Vera Drake, Mike Leigh ci aveva riportato indietro di qualche anno, all’interno di una vicenda storicamente situata – che è, in fin dei conti, un dramma ancora moderno – Michelangelo Antonioni ha portato a Venezia una storia contemporanea, con Deserto rosso. Leone d’Oro nell’edizione 1964, ha segnato per il regista nostrano una svolta. Si è trattato, infatti, del suo primo lungometraggio diretto a colori, nonché capitolo conclusivo della tetralogia esistenziale o dell’incomunicabilità (dopo L’avventura, 1960, La notte, 1961 e L’eclisse, 1962). Ancora una volta, una protagonista inquieta, in questo caso Giuliana (interpretata da Monica Vitti), si ritrova a dover agire in contesto che non sente suo. Nella “doppia” vita di Vera e nella nevrosi di Giuliana, infatti c’è un punto in comune: la mancata aderenza alle aspettative sociali a loro contemporanee.
Deserto rosso e la perdita di senso della realtà
Al centro della storia troviamo Giuliana, una donna che rimarrà scossa da un incidente d’auto. Pur non riportando danni fisici, comincerà a sentirsi inadeguata e depressa. Complice anche l’assenza del marito, in lei si insidierà, in maniera sempre più incisiva, questo senso di insoddisfazione. Non solo di se stessa, ma anche della realtà circostante. L’unica persona che sembra riuscire ad andare oltre questo suo perenne malessere è l’ingegnere Corrado Zeller (Richard Harris), amico di Ugo (Carlo Chionetti), marito di Giuliana. La vicinanza tra i due, complice anche l’assenza di Ugo, li spingerà ad avere una relazione. Ma, invece che donarle conforto, il tradimento le farà provare ancora più forte quella sensazione d’ansia. A peggiorare la situazione subentrerà anche la malattia che il figlio ha finto di avere. Questo insieme di fattori provocherà nella protagonista di Deserto rosso una sensazione sempre più forte, e ormai insanabile, di perdita di contatto con la realtà.
L’insoddisfazione di Giuliana e la crisi della modernità
Gli Anni Sessanta hanno portato con loro una ventata di novità su più fronti. Ma, al contempo, hanno messo in discussione quelle certezze ritenute intoccabili, spingendoci verso il baratro dell’inquietudine. Il boom economico e la Guerra Fredda, la televisione e la minaccia atomica: l’epoca sessantina si apre all’insegna della contraddizione. La realtà non poteva dunque essere rappresentata più in modo univoco: personaggi risoluti, narrazioni esaustive risultavano ormai anacronistici. La nevrosi, la crisi personale sono dunque le tematiche privilegiate all’epoca (8½ di Federico Fellini e Un uomo a metà di Vittorio De Seta sono tra gli esempi più illustri).
In un’epoca di incertezze e contraddizioni, Giuliana è l’emblema della crisi, la vive su di sé per restituirla al proprio pubblico. Non si riconosce nel ruolo di moglie, madre, in quelle istituzioni dapprima ritenute sacrosante, nonché unico paradigma esistenziale possibile dal punto di vista femminile, prima di allora. Nella protagonista di Deserto rosso risiedono, dunque, le inquietudini per una società in trasformazione, che non riconosce più. E, se “guardare e vivere è la stessa cosa” – come uno dei personaggi esclamerà nella pellicola – cosa accade se ciò che si vede perde di senso? La crisi del proprio universo personale.
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