Draghi e la corsa al Colle: si può fare a meno di lui?
Il problema di un nuovo esecutivo, la questione semi-presidenzialista e una legislatura debole
Sono giorni di fibrillante attesa per la corsa al Colle. La politica deve prendere una decisione e una direzione: “Draghi o non Draghi” è questo il dilemma. L’opinione pubblica si scaglia contro i partiti per essersi trascinati oltre ‘i tempi di scadenza’ senza un accordo sul nome. La storia della nostra Repubblica ci invita a non essere impazienti e a non trarre conclusioni affrettate.
Non dimentichiamo che dopotutto Pertini, il presidente eletto con la più larga maggioranza della storia repubblicana (circa l’81% dei voti), giunse al colle dopo solo 16 votazioni. Mario Draghi è indiscutibilmente un’immensa risorsa del nostro Paese ma resterà “a servizio delle istituzioni”, come aveva lui stesso annunciato, per un altro anno da premier? Incarna davvero l’unica figura garantista nello scenario internazionale? E se così fosse cosa significa per il nostro sistema politico?
Draghi o non Draghi?
Una lunga giornata di incontri e di trattative per i partiti, che si trovano difronte al grande bivio circa il ruolo di Mario Draghi. Una sua elezione incontra non pochi ostacoli e pone soprattutto numerose incognite. Chi ricoprirà la carica di Presidente del Consiglio? Troveranno i partiti l’accordo sull’eventuale rimpasto di Governo? Draghi al colle impone tassativamente una soluzione lampo alla crisi dell’esecutivo che la sua elezione aprirebbe. La Costituzione al riguardo detta che in assenza di un vicepremier a prendere le redini del Governo, nell’attesa dell’insediamento al Colle, spetta al ministro più anziano. Che nell’attuale composizione è il ministro Renato Brunetta.
Ma Draghi al Colle attira a se ulteriori nodi da sciogliere. Aleggia il timore tra i partiti che una tale figura al Quirinale possa significare poi per la nostra Repubblica una svolta verso i binari del semi-presidenzialismo. Dopotutto in un momento storico di così grande fragilità per i partiti, con una legislatura eretta su maggioranze precarie e sottili, che si è rivolta per ben due volte al bacino di personalità della società civile per correre ai ripari, inevitabilmente rende questa paura concreta e giustificata. Draghi significherebbe su più fronti una vittoria amara per i partiti. Darebbero così un ennesima prova di immobilismo politico e soprattutto di una tragica fragilità del nostro attuale Parlamento. In un anno che vede importanti questioni politiche come l’inflazione, la legge elettorale, e la gestione della prima tranche delle risorse del PNRR. Per non parlare delle riforme necessarie ad aggiudicarsi la seconda e la terza rata da 40 miliardi.
Come fare a meno di Draghi?
Le carte in tavola seppur nella loro complessità sono semplici da ‘leggere’. Se il Premier per la prima volta nella storia viene eletto al Quirinale bisogna avere pronto un Governo che garantisca una pari stabilità, ma soprattutto continuità politica con ‘la linea Draghi‘; almeno fino alle prossime elezioni. Un anno dove una piega semi-presidenzialista rischia (?) di vedere concretamente la luce. Allo stesso tempo qualora Draghi non andasse al Quirinale non è scontato che rimanga poi nel suo ruolo a Palazzo Chigi. In ogni caso sia con Draghi al Quirinale o no, un accordo attorno ad un nuovo esecutivo è necessario. I patti da intavolare tra i partiti sono dunque due e camminano di pari passo. La stessa spada di Damocle che pesa ormai su questo parlamento dall’inizio della Legislatura si è ripresentata: attorno a quale figura politica costruire una maggioranza di legislatura, visto che politica non lo è stata mai?
Ieri era come fare a meno di Conte? Oggi è come fare a meno di Draghi? Da queste risposte durante la stessa legislatura sono dipese più volte le sorti della stabilità politica e della credibilità del nostro Paese. Un parlamento che per ben due volte è andato alla ricerca di una figura arbitrale per superare le crisi e che è di nuovo diviso nel decidere le sorti di quello stesso ‘salvatore‘. Dal canto suo Draghi si è auto definito più volte “un nonno a servizio delle istituzioni”, ma è giunto il momento che il parlamento definisca i confini di questo ruolo.
Un fallimento politico
In un momento storico così delicato e drammatico non solo a causa dell’emergenza sanitaria, ma in vista delle numerose sfide di politica economica e internazionale che ci attendono, Draghi sembrerebbe essere l’unica figura garantista e all’altezza del panorama internazionale. Un’ammissione e un’evidenza politica che hanno il sapore dell’ennesima sconfitta di questa legislatura. Nel 1978 un parlamento altrettanto diviso si accordò in virtù della solidarietà nazionale su una figura come quella di Sandro Pertini, il primo partigiano presidente. L’eterogeneità del parlamento allora non significò la sua debolezza, ma fu uno stimolo per la ricerca di una figura che fosse di tutti. Che le sorti del prossimo esecutivo e della più alta carica dello stato oggi siano ‘intrecciate’ indissolubilmente alle sorti di un uomo solo, seppur al servizio delle istituzioni, segnano comunque apriori un tragico fallimento politico.
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