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Andrea Scazzola: “Vi racconto Tricò, mio zio, che vestì Jacqueline Kennedy e Audrey Hepburn”

Reporter di La7 firma con sua moglie Francesca Romana Carpentieri un libro di moda e storia familiare

Scendere nei meandri della propria memoria per ripercorrere un’intensa storia familiare, un vissuto carico di emozioni. Spaccati di vita che si intersecano negli anni dell’occupazione nazista e del dopoguerra carichi di speranza, sogni, ma soprattutto di passione per la moda. Andrea Scazzola, volto noto della trasmissione di La7 diMartedì condotta da Giovanni Floris, firma insieme a sua moglie Francesca Romana Carpentieri, la biografia di suo zio Pierluigi Tricò.

Tra i più interessanti libri moda 2022, Tricò, lo stilista delle regine, edito da Mazzanti Libri, mette in luce una Roma colta e borghese. Ma anche la vicenda umana di un creativo che inizia la sua avventura con un atelier nell’elegante quartiere Flaminio ed arriverà a vestire le donne più raffinate del mondo. Dal jet set, alle icone del cinema, fino alle Reali del tempo, il designer confeziona abiti per personaggi dal calibro di Jacqueline Kennedy, Audrey Hepburn, Allegra Agnelli, le Regine di Grecia, del Belgio e di Danimarca. Sfila a Palazzo Pitti, a Trinità dei Monti, a Parigi e a Los Angeles, e le sue creazioni arrivano persino a New York, Parigi, Londra e Mosca. Abbiamo incontrato Andrea Scazzola, giornalista e docente di Filosofia all’Università La Cattolica, alla sua seconda pubblicazione dopo Giovanni Gentile e il Rinascimento, che ha raccontato in esclusiva a VelvetMAG alcuni dettagli dell’opera.

Pierluigi Tricò, il couturier romano alla conquista del jet set

Andrea Scazzola come nasce il racconto su Tricò?
Pierluigi Tricò è mio zio, fratello di mio padre Luciano, da bambino abitavo accanto a lui al quartiere Flaminio. La Casa di moda era di proprietà di mio zio e dei miei genitori, ed è un’attività che prende vita proprio quando sono nato io, negli Anni Sessanta. Quest’avventura è parte della mia vita, ho respirato l’allure della moda fin da piccolo. Durante il lockdown, insieme a mia moglie, la giornalista Francesca Romana Carpentieri, abbiamo sentito l’esigenza di mettere in luce questa vicenda che in primis è un racconto familiare.

Pierluigi Trico con il fratello Luciano

Come nasce l’originale nome d’arte Tricò?

Si potrebbe pensare che prenda vita dal nome francese della maglia, ma non è così. Nella famiglia di mio padre si era soliti dare dei soprannomi. Mio zio Pierluigi era chiamato Baby e mio padre Luciano Capitan Tricò, la ditta prese il nome di Pierluigi e Tricò, per cui gli venne naturale poi darsi l’appellativo di Pierluigi Tricò.

Come venne in mente a suo zio di lanciarsi nel settore moda?

Pierluigi fin dai banchi del Convitto Nazionale, nota scuola romana, aveva questa sua grande passione del disegno, sognava di essere uno stilista. Questa aspirazione ad un certo momento della sua vita diventa irrefrenabile al punto da licenziarsi dalla sua occupazione per intraprendere un’avventura nella moda. Ed è un successo, a due anni dalla nascita della società, sfila alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, a Palazzo Barberini, a Palazzo Pitti a Firenze, a Parigi e Los Angeles. La sua moda arriva persino nelle vetrine di Harrod’s e a New York. Mia moglie ha raccolto le testimonianze di quegli anni. Il nostro non è un libro di storia della moda, ma è un volume che mette in luce l’Italia dall’occupazione nazista e dal dopoguerra, fino al boom economico degli Anni Ottanta.

Che stile era quello di Tricò?

La sua era una moda elegante, colta, raffinata. Proponeva una maglieria d’alta moda. Tricò si specializzò proprio nella maglieria e orienterà tutta la sua produzione su questo settore. Negli Anni Sessanta ancora non c’era molta creatività nel settore della maglia. Pierluigi ebbe il merito di creare dei tessuti a maglia con la caratteristica dello stampato, fatti di contrasto bianco/neri, ma anche con delle nuance forti come il giallo, il viola, il lurex. Nella Germania dell’Est trova dei macchinari che intrecciano il filato di lana realizzando una maglieria con disegni geometrici molto elaborati che richiamano i tessuti stampati. Si crea così un disegno inserito in un determinato riquadro. Tricò ebbe il merito di produrre una maglia che cadeva in maniera perfetta sul corpo.

foto F.Rubartelli

Chi sono le prime clienti famose ?

La contessa Consuelo Crispi, che era una vera e propria trend setter nella Roma degli Anni Sessanta, che divenne la testimonial del brand. Dopo di lei fu molto importante la celebre giornalista di moda, Irene Brin, che lo volle portare a sfilare a Parigi,  e da lì in poi la couture di mio zio ebbe una visibilità enorme, al punto di attirare persino Jacqueline Kennedy.


Consuelo Crespi foto Leombruno
Audrey Hepburn in Grecia in look Tricò

Come avvenne l’incontro tra Tricò e l’icona di stile e di eleganza?

Jackie arrivò su una limousine nel nostro atelier di via Mancini a sorpresa grazie a due clienti di mio zio. Nel 1960 la Kennedy era davvero la donna più moderna ed elegante del mondo. Nel palazzo con gli stucchi ed i decori, dove aveva sede la boutique, c’era un ascensore che si attivava inserendo una monetina. C’è un aneddoto divertente che raccontiamo nel libro che riguarda proprio la visita di Jacqueline. Appena arrivò non partiva l’ascensore e mio zio diede una colpo sulla cassettina delle monete per farlo azionare e cominciare a salire. La faccia di Jackie fu a dir poco stupita, ma nonostante ciò acquistò da noi due abiti neri che, in tempi brevissimi, prima della partenza della First Lady dall’Italia, l’atelier li confezionò e li consegnò in ambasciata.

Ad un certo punto l’Atelier da via Mancini si sposta in centro a Roma

Sì precisamente in via delle Carrozze, dove avevamo una boutique su tre livelli ideata dall’architetto Stefano Mantovani. Organizzammo per l’occasione un’inaugurazione a cui parteciparono persino Valentino Garavani e Rocco Barocco. Qui Tricò riceveva abitualmente le Regine di Grecia, Danimarca, ma anche Allegra Agnelli, Audrey Hepburn, Lauren Bacall, Claudia Cardinale, e tanti personaggi dell’aristocrazia italiana ed europea.

Tricò con Valentino Garavani all ‘inaugurazione dell’ Atelier di via delle Carrozze

Quali sono i ricordi più intimi che conserva di suo zio?

Pierluigi è un uomo estremamente simpatico e brillante. Lui ha una fantasia irrefrenabile, ricordo quando per me e mia sorella, ancora bambini, creava dei personaggi fantastici e ce li descriveva in una maniera così forbita, fantasiosa ed allegra con dei particolari esilaranti: “Il fantasma con la scarpa rotta”. Andare da lui in atelier era un momento divertente e piacevole.

Allegra Caracciolo Agnelli foto Ugo Mulas in look Tricò

La passione per la scrittura nasce da suo zio Tricò?

No, semmai da mio padre che era molto interessato alla letteratura. A casa mia c’erano volumi di ogni tipo, riviste, giornali e si commentavano con passione tutti gli avvenimenti di quegli anni. L’avventura della moda invece nasce e termina con mio zio, poiché né io né mia sorella abbiamo poi seguito le sue orme.

Oltre ad avere delle celebri clienti, che rapporti aveva Tricò con i suoi colleghi del tempo?
Con Valentino c’era una stima profonda, ma mi colpì ancora di più il rapporto con Hubert de Givenchy, all’epoca tra i più grandi designer, che considerava Tricò uno dei creatori di moda italiani più originali insieme a Valentino. Nel 1996 Givenchy, accompagnato da due bellissime ragazze, venne da mio zio in atelier e gli propose di realizzare un vestito per una giovane Rothschild. Tricò purtroppo stava chiudendo l’attività e non realizzò mai quell’abito, ma fu un addio pieno di soddisfazione quello di essere stato scelto persino da Givenchy.

Tutti i bozzetti e gli abiti di Tricò dove si trovano attualmente?

I disegni di mio zio e la raccolta di articoli su di lui sono entrati a far parte dell’archivio nazionale della Moda del Ministero dei Beni Culturali. Gli abiti sono oggetto spesso di mostre. Tra gli articoli che mi hanno colpito ce n’è uno con una foto di Tricò a Mosca nel 1962 sulla Piazza Rossa accanto a una modella in abito scarlatto mentre i marinai sovietici osservano stupiti la scena. La moda italiana si esibiva in Russia e a rappresentarla erano stati scelti gli stilisti più giovani e moderni. Racconta divertito mio zio che alla sfilata le donne erano sedute con la busta della spesa tra le gambe piena di patate. Era un mondo chiuso che negli anni di Kruscev si stava cominciando ad aprire.

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Elena Parmegiani

Moda & Style

Giornalista di moda e costume, organizzatrice di eventi e presentatrice. Consegue la Laurea Magistrale in Comunicazione Istituzionale e d’Impresa all’Università “La Sapienza” di Roma. Muove i primi passi lavorativi con gli eventi per il Ferrari Club Italia, associazione di possessori di vetture Ferrari. Da oltre quindici anni è il Direttore Eventi della Coffee House del prestigioso museo Palazzo Colonna a Roma; a cui di recente si è aggiunto quello di Direttore Eventi della Galleria del Cardinale Colonna. Ha organizzato e condotto molte sfilate di moda per i più importanti stilisti italiani. Come consulente è specializzata nella realizzazione sia di eventi aziendali, sia privati. Scrive di moda, bon ton (con una sua rubrica), arte e spettacolo. Esperta conoscitrice dei grandi nomi della moda italiana, delle nuove tendenze del Fashion e del Made in Italy. Cura anche la rubrica di Velvet dedicata al Wedding. 

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