Vittoria di Savoia, figlia del principe Emanuele Filiberto e di Clotilde Courau, si è recata al confine con il teatro di guerra. Un’esperienza drammatica quella dei rifugiati ucraini, della quale ha voluto condividere le proprie impressioni al suo rientro.
Cresciuta a Parigi, come tante ragazze della sua età, Vittoria ama la moda, i social, la musica. Ma come erede di Casa Savoia prende molto sul serio il suo ruolo all’interno della famiglia. La ragazza – 18 anni – che erediterà un giorno la guida del casato, è partita per una missione di quattro giorni al confine ucraino. Con destinazione il punto di scambio merci a Leopoli, Vittoria si è recata sul posto per consegnare gli aiuti ai rifugiati.
La sua esperienza ad un centinaio di chilometri da Kiev, l’ha cambiata dentro. Così, una volta rientrata, ha voluto rilasciare un’intervista al Corriere della Sera per raccontare cosa hanno visto i suoi occhi e quali sono state le sue impressioni sulla situazione attuale.
L’esperienza di Vittoria di Savoia al confine di guerra
Parlando al quotidiano italiano, dopo il suo rientro, Vittoria di Savoia mostra di essere ancora provata dalle immagini viste dal vivo. “Mi sento ancora sconvolta dall’esperienza – ha dichiarato – sono rientrata a Milano nella notte, ma il cuore e i pensieri sono rimasti là, fra quella gente in guerra”.
La scelta di partire per questi luoghi carichi di dolore, come per altri giovani della sua età, nasce dal bisogno di sentirsi utili in una situazione davvero drammatica. Commentando la sua decisione, infatti, la figlia di Emanuele Filiberto ha dichiarato di essere partita “d’istinto, vedendo le immagini della guerra in tv ho deciso di unirmi ai volontari dell’associazione Odissea della Pace, per portare fino al confine ucraino cibi, medicinali ma anche giochi per bambini“.
Viaggiando con la Croce Rossa italiana e la Chiesa Ortodossa italiana, con l’aiuto della Conferenza delle Regioni e il patronato del Parlamento Europeo, l’erede di casa Savoia è giunta in una struttura gestita da Save The Children. Le scene dei padri che salutano i figli prima di tornare a combattere – racconta – non possono lasciare la mente.
Di certo, pur non volendo scendere nel dettaglio delle scelte politiche operate dai paesi, Vittoria afferma: “Nei centri d’accoglienza su tutto il confine Ucraino, prima a Ubl’a e poi a Barabás e a Záhony, tanti bambini rimasti separati dalle proprie famiglie e persi tra lacrime e dolore ma che, non appena vedevano un sorriso amico, cambiavano, anche se per poco, sguardo… E noi potevamo fare di più“.
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