Marlon Brando, icona ineguagliabile e divo eterno. Impetuoso e imprevedibile, una combinazione letale ma sufficiente per diventare una tra le più grandi star di sempre. Avrebbe compiuto 98 anni oggi, ma il suo mito continua a vivere grazie al suo più importante lascito: i film.
Dallo Stanley Kowalski di Un tram che si chiama desiderio al Terry Malloy di Fronte del porto; dallo scandaloso Ultimo tango a Parigi all’indimenticabile Il Padrino di Francis Ford Coppola, entrambi giunti al 50° anniversario. Di pietre miliari ne ha disseminate Marlon Brando, nel corso della sua carriera, grazie alla sua recitazione sentita, alla sua personalità forte, sfaccettata e turbata dalla fragilità, sin dalla tenera infanzia. Nei film ha provato a ricercare quel lieto fine che, in cuor suo, da giovanissimo ha capito non far parte della vita reale.
Trascurato dal padre, che alla famiglia preferisce le sortite notturne nei nightclub, si traferisce a Santa Ana, in California con la madre e le sorelle, dopo il divorzio dei genitori. Per timore che qualcuno scoprisse le sue fragilità, preferisce distruggere qualsiasi rapporto con gli altri. L’atteggiamento da cattivo ragazzo gli costa l’espulsione dal liceo prima e dall’accademia militare dopo. Ma, in seguito al trasferimento a New York, riesce a invertire la sua tendenza all'(auto)distruzione in un’attitudine alla costruzione. Il tutto, grazie alla recitazione.
Marlon Brando, il cattivo ragazzo che ha rivoluzionato il cinema per sempre
Ben presto, il suo talento lo porta a calcare i palchi più importanti di Broadway, grazie anche all’apparenza da cattivo ragazzo che da sempre lo ha contraddistinto. Il 1947 segnò per Marlon Brando il primo passo verso il successo: rivestì il ruolo di Stanley Kowalski in Un tram che si chiama Desiderio di Tennessee Williams. Grazie alla vicinanza a Stella Adler divenne inoltre uno dei maggiori esponenti – se non il più noto in assoluto – del famigerato Metodo Stanislavskij. Nella fase di preparazione, infatti, l’interprete dimostrò di non “limitarsi” ad entrare in empatia con il proprio personaggio, ma arrivò addirittura di trasformarsi, cambiando fisico e volto, diventando il personaggio.
Il suo eclettismo e il naturale charme lo resero dunque uno tra i volti più ambiti dai registi. Soprattutto dopo la trasposizione cinematografica di Un tram che si chiama desiderio (1951), al fianco di Vivien Leigh, e successivamente, di Fronte del porto, che gli valse il primo Premio Oscar, Brando approdò finalmente a Hollywood. Ma, se da un lato tutti lo volevano, l’interprete arrivò a rifiutare Roberto Rossellini, ritenuto troppo arrogante. Al contempo, però, il divo cominciò a suscitare diverse polemiche, in particolar modo per il suo essere così privo di filtri e, soprattutto, per quella tendenza distruttiva, che se da giovane era riuscito a domare con lo studio della recitazione, da adulto tornò a tormentarlo. E infatti, il passo da volto più amato ad emarginato fu più breve del previsto. Gli Anni Sessanta lo videro difatti impegnato in diversi progetti fallimentari: si trattava della fine per Brando? Non esattamente. Anzi, decisamente no.
Ultimo tango a Parigi e Il Padrino
C’era chi lo dava per spacciato ormai. Dopo aver pesantemente criticato quel sistema che lo aveva accolto con tutti gli onori, Marlon Brando sembrava infatti aver chiuso. Ciononostante, il 1972 segnò per l’interprete un’ulteriore rinascita. Sul grande schermo approdarono Ultimo tango a Parigi e Il Padrino.
A prescindere dalle polemiche suscitate dalla pellicola scandalo diretta da Bernardo Bertolucci, riguardo al discusso trattamento riservato a Maria Schneider, nessuno ad oggi riuscirebbe ad immaginarsi un altro Paul all’infuori di Marlon Brando. Per quanto riguarda Il Padrino, invece, Francis Ford Coppola non aveva dubbi: Brando era il perfetto Don Vito Corleone. La Paramount, dal canto suo, non era altrettanto convinta, anzi. “Mettere Brando nel Padrino sarà peggio che mettere un totale sconosciuto.” – aveva affermato il Presidente della casa di produzione, stando a quanto riferito da Coppola. La Paramount fece però dietro front, a patto che si rispettassero tre condizioni: fare un provino; versare un miliardo di dollari come caparra; lavorare gratis.
La nascita di Don Vito Corleone
Dal canto suo, Coppola ben sapeva quanto Marlon Brando odiasse i provini. Decise perciò di presentarsi a casa sua, riprendendolo di nascosto, mentre era intento a “diventare” Don Vito Corleone. Per agevolarlo, il regista disseminò nell’abitazione del divo alcuni prodotti, tra cui sigari, peperoncini e formaggi italiani. “Brando non disse nulla quando vide quelle cose. Si presentò con dei lunghi capelli biondi e con indosso una tunica giapponese. Si tirò indietro i capelli, e li colorò con del lucido a scarpe nero. Indossò una camicia bianca ed iniziò ad appuntarsi la parte finale del colletto dicendo “Questi italiani portano sempre così il colletto” – raccontò Coppola.
Il passaggio decisivo su cui Marlon Brando dovette insistere era la voce. “Brando cominciò a parlare quindi nella tipica maniera del Padrino, mangiando formaggio e fumando il sigaro,” – proseguì il regista, fino a quando l’intuizione – “pensò di prendere dei fazzoletti e metterseli in bocca poiché “Gli italiani sembrano proprio dei bulldogs”. Fu allora che nacque Don Vito Corleone.
Lo scandalo ai Premi Oscar
Il successo, sia di pubblico che di critica, dimostrarono quanto la Paramount avesse sbagliato sulla posizione presa in merito alla presenza di Marlon Brando. La star vinse il suo secondo Premio Oscar, come Miglior Attore Protagonista, nell’edizione del 1973. Se le polemiche sembravano essersi ormai placate, il divo tirò fuori un altro asso nella manica: rifiuta categoricamente la statuetta. Anzi, non prese neanche parte, mandando in rappresentanza Sacheen Littlefeather – al secolo Marie Louise Cruz – attrice e attivista per i diritti dei nativi Americani.
“Questa sera rappresento Marlon Brando. Mi ha chiesto di dirvi […] che è davvero dispiaciuto di non poter accettare questo premio. La ragione è dovuta al trattamento degli indiani d’America nell’odierna industria cinematografica […] e televisiva.” – declamò tra i fischi la donna, portando a compimento una delle maggiori provocazioni di Brando. Il divo seppe però redimersi, ottenendo altre due nomination nel corso della sua carriera. Ma nessuno avrebbe mai più dimenticato quel gesto, massima espressione di un ribelle purosangue.
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