Jane Campion, un nome una garanzia. Colei che si arroga il diritto – meritato – di tornare al cinema dopo 12 anni, ottenendo altrettante nomination agli Oscar. Con Il potere del cane, inoltre, ha conquistato l’ambita statuetta alla Miglior Regia, stabilendo un ulteriore primato.

Di figure femminili dietro la macchina da presa, purtroppo, il cinema ha sempre scarseggiato. Se poi prendiamo in considerazione coloro che sono riuscite a costruire una carriera solida e memorabile, si contano letteralmente sulle dita di una mano. Tra di loro, è impossibile non pronunciare il nome di Jane Campion. Seconda donna ad essere candidata all’Oscar alla Miglior Regia, dopo solo Lina Wertmüller, grazie allo – splendido – Lezioni di piano, si è sempre distinta per il suo particolare sguardo, espressione dell’indie (almeno in fase iniziale) più raffinato. E proprio dall’azione del “vedere” parte il suo personalissimo approccio alla settima arte. Come lei stessa, infatti, ha affermato: “Per me essere un regista significa guardare, non dire alla gente cosa fare.”

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Ne Il potere del cane c’è Jane Campion all’ennesima potenza

Sin dai suoi albori nel mondo dell’audiovisivo, era chiaro che Jane Campion fosse nata per fare cinema. E ancora prima che approdasse al lungometraggio, la regista neozelandese si fece notare con i propri corti: basti ricordare Peel, che nel 1986 ottenne la Palma d’Oro per il miglior cortometraggio. Nel 1990, grazie a Un angelo alla mia tavola, ha ricevuto il Leone d’argento – Gran premio della giuria, imponendo la propria cifra stilistica, all’infuori dalla mise da perfetta scolaretta con cui si presentò sul red carpet. A tal proposito, Alberto Crespi ha ricordato su Repubblica ha ricordato: “E pensare che quasi tutti i registi presenti in quella sala sarebbero dovuti andare a lezione da lei.” Una stoccata verso i diversi nomi affermati, per rimarcare l’importanza di quell’astro nascente di provenienza neozelandese.

Da lezioni da Jane Campion a Lezioni di piano il passo è stato breve. Così come lo è stato il passaggio da nome promettente a regista affermata. Presentato in anteprima mondiale al 46° Festival di Cannes, il lungometraggio ha ottenuto fin da subito il plauso della critica. E proprio alla Croisette, il progetto le ha permesso di conseguire un importante primato: la pellicola è stata premiata con la Palma d’Oro, rendendo Jane Campion la prima donna in assoluto, nella storia della kermesse francese. Passeranno quasi trent’anni affinché ciò avvenga nuovamente, con il Titane di Julia Ducournau.

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Nel corso dei quasi trent’anni successivi, Jane Campion lavorerà solo ad altre cinque pellicole. L’ultima di queste è proprio Il potere del cane. A distanza di dodici anni da Bright Star, la regista neozelandese ha portato sul grande schermo la trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Thomas Savage. Presentato in concorso alla 78a Mostra del Cinema di Venezia, in occasione della quale ha ricevuto il Leone d’argento – Premio speciale per la regia, inaugurando la sua scalata verso le più importanti kermesse cinematografiche. Il western, in pieno stile  Jane Campion, ha fatto incetta di Golden Blobes, BAFTA e 12 nomination ai Premi Oscar 2022. Il film le ha inoltre permesso di divenire la prima regista donna candidata più volte alla statuetta d’oro, portandola infine a ottenere l’ambito riconoscimento.

Attraverso una storia d’amore, solitudine e dolore, ambientata nel Montana del 1925, che vede al centro il conflitto tra i fratelli Burbank, accomunati solo dal legame di sangue, Jane Campion ritorna alle sue atmosfere sospese, ai silenzi assordanti e ai campi lunghi che hanno reso il suo stile poetico inconfondibile. La regista ha dimostrato, grazie all’acclamata pellicola, di sapersi aggiornare, senza mai tradirsi. Come, d’altronde, solo i grandi sanno fare.

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