Ritrovato, nel fondo leopardiano della Biblioteca Nazionale di Napoli, un autografo inedito di Giacomo Leopardi. Si tratta di uno scritto passato inosservato finora e riportato alla luce da due studiosi: Paola Zito e Marcello Andria.
La notizia riportata da La Repubblica, parla di un autografo inedito di Giacomo Leopardi, con ogni probabilità risalente al 1814. Al tempo lo scrittore aveva solamente 16 anni e viveva nel suo paese d’origine, Recanati.
Gli studiosi Marcello Andria e Paola Zito, che dal 1986 si occupano dell’importante fondo leopardiano custodito presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, hanno scovato il manoscritto che apre importanti scenari all’interno dell’officina leopardiana. Il nuovo autografo del giovanissimo Giacomo Leopardi è un “quadernetto” formato da quattro mezzi fogli, ripiegati nel mezzo in modo da ottenere otto facciate. Al loro interno si trova una fitta lista di autori disposti in ordine alfabetico. Si tratta di autori antichi e tardo antichi per un totale di circa 160 lemmi.
Ciascun lemma è accompagnato da una serie di riferimenti numerici, che nel complesso risultano essere oltre 550. Comprendere a cosa si riferissero questi numeri, però, ha impiegato per molto tempo gli studiosi, che hanno letto e riletto il testo per molto tempo. Alla fine, Paola Zito e Marcello Andria hanno scoperto che si trattava di riferimenti all’Opera Omnia di Giuliano Imperatore.
Cosa rivela agli studiosi il nuovo autografo di Giacomo Leopardi
Si tratta di una scoperta non da poco, che accende una luce sull’officina del giovane Giacomo Leopardi, assiduo frequentatore della biblioteca paterna. In quegli anni lo scrittore si era da poco approcciato allo studio delle lingue antiche e si era appassionato moltissimo alle opere degli autori presenti nella sua biblioteca.
Commentando la scoperta Andria ha dichiarato a La Repubblica: “A un certo punto, nel testo, abbiamo letto un riferimento a Giuliano l’Apostata che cita se stesso (“Iulianus se ipsum nominat”). Questa annotazione ci ha aperto un mondo. Quella lista di autori antichi era riferita proprio all’Opera omnia di Giuliano imperatore, nell’edizione di Ezechiel Spanheim, apparsa a Lipsia nel 1696 e custodita nella biblioteca di Recanati ancora oggi. Leopardi è in quella fase della sua vita nel quale approfondisce fortemente la cultura classica, dotato di una curiosità erudita che nel 1813 lo aveva portato ad avviare da autodidatta lo studio del greco“.
Non si sa cosa volesse farne dell’opera, se desiderasse curarne un’edizione o se volesse solo studiarla. Secondo lo studioso, però, è probabile che Leopardi volesse “occuparsi probabilmente in maniera sistematica di Giuliano l’Apostata“. Lo si può dedurre dal momento che è un autore che cita e utilizza “in altri scritti come le Operette morali e lo Zibaldone“. Il manoscritto rileva un pezzetto di quel fittissimo mosaico dei sette anni di “studio matto e disperatissimo” che compì dal 1809 al 1816, sottolinea l’interesse per gli autori antichi e rivela il metodo preciso e sistematico del giovane studioso.
Su questa scoperta i due studiosi hanno scritto un importante volume, dal titolo “Leopardi e Giuliano Imperatore. Un appunto inedito dalle carte napoletane“. Il libro, edito da Le Monnier Università, sarà presentato a Napoli alla Biblioteca nazionale, oggi martedì 3 maggio alle ore 16.
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