Ucraina, Il racconto esclusivo di un connazionale italiano in fuga da Mariupol
Intervista esclusiva a Pino che ha messo in salvo se stesso e la sua famiglia dalla tragedia della guerra: "Il racconto esclusivo di un connazionale italiano in fuga da Mariupol".
Non accennano ad acquietarsi i venti di guerra in Ucraina. La guerra lampo di Putin, che sperava di conquistare l’Ucraina in pochi giorni, si appresta ad avvicinarsi a quota 100 giorni. Il conflitto ha stravolto la quotidianità di tanta gente innocente. Abitanti di città floride e tranquille come Odessa, Mariupol che dopo il dramma della pandemia speravano come tutti noi di assaporare finalmente un po’ di pace.
Noi di VelvetMAG abbiamo raccolto la testimonianza di Pino, un cittadino italiano, scappato dalla tragedia di questo conflitto: la testimonianza della sua fuga da Mariupol. Una delle città più prese d’assalto dall’avanzata russa, ed oggi finita in mani russe. Per una vita intera è stato comandante di navi Cargo. Ha rischiato varie volte la vita in mare aperto, ma niente è equiparabile agli orrori a cui ha dovuto assistere nella sua fuga, per salvare la sua vita e quella della sua famiglia.
ESCLUSIVA VELVETMAG: la fuga da Mariupol
Pino da quanti anni vivi in Ucraina?
Ormai sono venti anni. Mi sono traferito in Ucraina per amore. Essendo comandante di navi Cargo però all’inizio facevo avanti e indietro, poi quando è arrivata la pensione mi sono fermato a Mariupol stabilmente con la mia famiglia. La guerra poi ha rovinato tutto.
Mariupol è stata e continua ad essere una delle città prese d’assalto dall’avanzata russa. Come si viveva lì all’inizio del conflitto?
All’inizio del conflitto c’erano solo scaramucce con pochi razzi da entrambe le parti. Non pensavamo ci potesse essere l’ombra di un inasprimento. Si poteva uscire, e ci si organizzava con fornelli di fortuna in strada per mangiare. Perché l’elettricità l’hanno levata quasi subito. Io ero fortunato perché avendo un camino in casa, avevo già un’abbondante scorta di legna per fare il fuoco. Poi però ad un certo punto i bombardamenti dei russi hanno iniziato ad intensificarsi di molto.
Che cosa hai provato durante i bombardamenti a Mariupol?
Quando c’è un bombardamento, la prima cosa a cui si pensa è scappare e nascondersi. In cantina o nei bunker, come li chiamano alla televisione. Ma in effetti sono degli scantinati. Si resta li in silenzio e si spera tutti insieme che la bomba non colpisca proprio quel luogo.
Quando i bombardamenti hanno iniziato ad intensificarsi, hai capito che la situazione stava degenerando. Con la tua famiglia avete deciso di scappare. Una decisione non facile visto che, com’è noto, i russi non avevano consentito dei veri e propri corridoi umanitari.
No infatti. Corridoi umanitari non c’erano. La scelta era tra prendere una bomba in testa prima o poi a Mariupol o rischiare di prenderne una durante il tragitto. Ma almeno avevi la possibilità di salvarti. Noi siamo stati fortunati. Siamo scappati da Mariupol verso Zaporozhzhia il 15 Marzo con un convoglio di almeno altre 200/250 macchine. Il giorno dopo sono venuto a sapere che i russi avevano sparato sul convoglio di macchine che scappavano lungo il mio stesso tragitto. Un solo giorno di differenza…
Come puoi descriverci quel viaggio?
I primi due giorni non sono stati affatto facili. Vedevamo cadaveri dappertutto in mezzo alla strada, carri armati russi… passavamo vicino a strade ancora minate, perché come ho detto i corridoi umanitari erano molto piccoli. La vista di quei cadaveri inermi è qualcosa che mi resterà per sempre dentro.
Il popolo Ucraino come sta affrontando tutto questo?
Io sono molto solidale con loro, sono un popolo straordinario. Gente di cuore e che si aiuta molto tra di loro. Sono stato aiutato molto anche io dai soldati ucraini nella mia fuga verso il confine ungherese. Solo per farti un esempio, lungo il tragitto all’improvviso mi scoppia una gomma. Un ragazzo ucraino si ferma per aiutarci e insieme andiamo ad un posto di blocco ucraino. Il soldato ci ha accompagnati dal gommista, il quale dopo la riparazione non ha voluto niente! Gli ucraini poi rimuovevano anche i corpi dei soldati russi per la strada, mentre i russi quelli ucraini li lasciavano marcire.
Che cosa ti raccontano gli amici ucraini rimasti li?
I miei amici rimasti a Mariupol ogni volta che li sento mi dicono semplicemente “viviamo”. Ovviamente loro come tutti i soldati ucraini sperano di vincere… ma è molto difficile da capire.
In Italia e in Europa il dibattito è tutt’ora diviso tra chi è favorevole all’invio di armi a Kiev e ad un inasprimento dell’embargo nei confronti del gas e del petrolio russo. Mentre dall’altra c’è chi auspica una maggiore prudenza, per favorire la diplomazia e disincentivare l’uso della violenza. Tu che posizioni hai al riguardo?
Si, bhe da lontano è tutto più semplice. Ma questa gente non è mai passata per quelle zone, non ha visto tutto quello che ho visto io. E la verità è che gli ucraini senza quelle armi sono morti. Ci vogliono le armi in guerra per resistere, ed è inutile stare a fare propaganda tra armi difensive o offensive. Le armi sono offensive e basta. Di difensivo ci sono solo le tute mimetiche e gli elmetti. Agli ucraini servono armi. La diplomazia che paventano tanto certi politici, sul campo ad oggi non esiste! I russi non la vogliono ad oggi la diplomazia. Se passassero solo qualche giorno in quelle zone se ne renderebbero conto anche loro.
Che idea ti sei fatto una volta tornato in Italia del dibattito mediatico occidentale?
Credo che gran parte degli intellettuali e conduttori TV metta troppo facilmente da parte, e sottovalutino, i sentimenti nazionalisti ucraini. Non è così semplice come la si racconta “se do le armi a Kiev non faccio finire la guerra, se tratto con i russi incentivo la fine della guerra”. C’è molto di più nel mezzo, è la loro terra.
In televisione si è discusso spesso inoltre riguardo le ideologie nazionaliste e neonaziste del battaglione Azov. Non a caso la propaganda di Putin ha trovato il suo perno nella “denazificazione” del territorio.
Sin dallo scoppio della guerra nel 2014 a Mariupol non si è mai visto niente di tutto questo. Era una guerra dimenticata dal mondo. Tutto è frutto della propaganda russa. Io a Mariupol ho vissuto accanto a parecchie persone appartenenti al battaglione Azov, perché loro li avevano un importante centro. Personalmente non ho mai visto atti di violenza da parte loro.
Il battaglione è stata costretto alla resa nell’acciaieria di Mariupol.
Li dentro non c’erano solo soldati appartenenti al battaglione Azov. Ma anche poliziotti, civili, tra cui anche donne. Ora finiranno sotto processo dei russi… speriamo solo salvino gli innocenti, perché tra di loro c’è anche gente che non ha mai imbracciato un’arma.
Ucraini che quindi non hanno voluto combattere?
Certamente. Anche tra gli ucraini ci sono persone che non hanno voluto imbracciare i fucili. Un 80% o forse 70% ha abbandonato tutto per combattere. Ma comunque ci sono ragazzi molto giovani che per paura tutt’ora si nascondono.
Tu come hai gestito la paura invece?
Facendo finta di essere su una delle mie navi Cargo, nella quale parecchie volte mi sono ritrovato a rischiare la vita. Anche il mare sa essere molto pericoloso. Mi sono ritrovato spesso in condizioni disperate dove la nave sembrava stesse crollando a picco. Ma il segreto è avere il coraggio di non perdere mai la speranza. Bisogna accettare la vita come un avventura ed essere pronti sempre a dimenticare tutto. Io la sera quando dopo un brutto spavento in mare aperto ritornavo a casa, ridevo. Perché ero vivo. Questa è la vita.