Piepoli: “un progetto politico, per essere competitivo e consistente, deve superare il 15%”
Dall'exploit di Carlo Calenda a Roma al primo turno ai ballottaggi destra vs sinistra della Capitale e di Torino
Il direttore di VelvetMAG ha incontrato Nicola Piepoli, il decano dei sondaggisti italiani all’indomani delle elezioni dello scorso 3 e del 4 ottobre per analizzare per i nostri lettori l’ultima tornata elettorale. Il fondatore dell’Istituto di ricerca, che porta il suo nome, è noto nel panorama delle metodologie e delle tecniche di creatività applicata – in cui si è specializzato presso l’Università di Buffalo – per aver realizzato con Hubert Jaoui le prime carte creative (carte da gioco simboliche che evocano per analogia nuove associazioni di idee, anticipando i successivi studi sulla serendipity).
Intervista esclusiva al Prof. Nicola Piepoli
Partiamo forse dal dato più importante uscito dalle urne nell’ultima tornata, quello dell’affluenza di poco superiore al 50% degli aventi diritto. Ce la può considerare come dato nel tempo?
È stata molto bassa, il dato ufficiale ci dice 53%, a dimostrazione che la gente è stufa e che la politica non esercita il richiamo giusto sul cittadino-elettore, spingendolo ad esprimere il più importante dei diritti-doveri che prevede la nostra Costituzione. Quando ero ragazzo la nostra affluenza – prenda il primo dato della vita repubblicana nel 1946 – sfiorava il 90%. Eravamo i primi d’Europa. Una percentuale così dice che solo le persone gravemente ammalate praticamente, non hanno esercitato il diritto di voto.
“Affluenza è molto bassa, ma non possiamo dire cosa accadrà alle prossime politiche”
Abbiamo osservato nel tempo le elezioni locali scendere più rapidamente delle politiche. Ma fino a tutti gli Anni ’70 siamo stati ben oltre l’80%, con una differenza tra politiche e locali di circa 15 punti, in cui la maggiore affluenza la conquistano nel tempo sempre le elezioni nazionali. È andata così fino alla catastrofe di oggi, ma non possiamo prevedere cosa accadrà alle prossime politiche.
Sappiamo solo che, come accade da sempre, anche qui dal 1946, il Nord vota più del Sud, ma non ci sono differenze rilevanti tra maschi e femmine ad esempio.
C’è un aspetto che molti commentatori hanno evidenziato: ossia lo scarso apporto dei candidati civici rispetto ai partiti. Ci fa una panoramica dei risultati seguendo questa apparente dicotomia.
Appunto apparente, perché prenda il PD ha scelto o direttamente dei candidati identificabili con il partito, o nell’aria di influenza dello stesso. Candidati fortemente radicati nella realtà civica, ma vicini ai democratici da sempre. Questo credo sia la ragione per la buona prestazione degli uomini di Letta, oltre che una tradizione positiva nei risultati elettorali locali, se si guarda al passato. Naturalmente sempre con qualche eccezione, o non sarebbe una regola, non costituirebbe una tendenza. L’altra affermazione che possiamo fare guardando ai risultati nei comuni è che il Partito Democratico vince, o conquista il ballottaggio, con o senza il Movimento 5 Stelle, cosa che è non vera invertendo i soggetti dell’affermazione.
Piepoli: “Carlo Calenda è il suo partito, nel caso della Capitale, un buon partito”
L’unica accoppiata perfettamente riuscita sull’asse candidato-partito è stata quella di Carlo Calenda a Roma. Il riscontro delle urne ci dice che se si presenta in prima persona, lui è il suo partito, e nel caso della Capitale è buon partito. Lo definirei un caso quasi eccezionale di partito personale.
Visto che parliamo di partiti candidato/leader-centrici, che a dire il vero nelle Amministrative è più semplice: parliamo di Berlusconi e di Forza Italia. Cosa ci dice l’ultima tornata sullo stato del partito forzista?
Berlusconi va considerato come sempre un fatto anomalo: dal punto di vista storicistico Forza Italia ormai è una pallida immagine di quella che abbiamo conosciuto. Non dobbiamo mai dimenticare che è nata a Milano, che politicamente ha dimostrato di essere un ambiente creativogenico per i partiti, anche se non è un ambiente che tradizionalmente favorisca le formazioni con vocazione popolar-democratica. Storicamente a Milano sono nate le formazioni più forti della nostra storia come maggiormente legate al leader. Possiamo dire quelle che meno somigliano ai partiti di massa democratici, in termini spirituali naturalmente.
Tornando al partito forzista possiamo dire che ha perso quella forza che è apparsa dirompente fin dal primo manifesto elettorale che apparve in città – a Milano n.d.r. – ben prima della discesa in campo del 1993. Quel passeggino con la scritta “Forza Italia”, potentissimo è ben presente negli occhi della mia memoria e non solo.
Professor Piepoli, prima ha fatto un rapido accenno allo Stato di salute elettorale del Movimento 5 Stelle.
Cosa ci dice su di loro e sull’impatto delle loro vicende interne sul risultato uscito dalle urne?
Che forse sono riusciti a diventare un partito troppo tardi. Di fatto l’ultimo è stato un anno tormentato, che forse ha riportato il Movimento dove lo aveva lasciato Luigi Di Maio, che aveva cercato di iniziare questa trasformazione necessaria dopo la conquista del Governo. Ora il tema è comprendere se possono reggere il confronto con i partiti di massa esistenti. L’exploit elettorale delle ultime politiche non si è tradotto in una leadership capace di capitalizzare il consenso, anche quello legato agli importanti sindaci eletti la scorsa volta.
Ora il partito è riunito attorno a Giuseppe Conte, e il suo progetto politico, per essere competitivo e consistente, deve superare il 15%, e non si può accontentare di essere un soggetto “meridionalista”. Esattamente come la Lega non si è potuta accontentare di rimanere Lega Nord. Se il 2022 trascorre senza fenomeni disgregativi, possiamo dire che avrà superato il suo experimentum crucis come leader.
Piepoli: “un progetto politico, per essere competitivo e consistente, deve superare il 15%“
Spostiamoci a destra nel duello tra leader: dai sondaggi, che lei conosce come pochi, ai consensi, che ha studiato per una vita. Come vede Meloni e Salvini.
Meloni per conto mio il primo grande miracolo lo ha compiuto internamente facendosi riconoscere come leader indiscussa e monolitica – più di ogni altro – in Fratelli d’Italia, un partito che, oggi come in passato, non riconosce alle donne un ruolo primario, né questo è un tema delle loro battaglie. Da questa leadership sta scalando il centrodestra tutto. Ha superato la soglia del 15% che indicavamo prima quindi è in fase fortemente espansiva dei consensi.
Scusi se la interrompo: sono in molti i commentatori, che non solo in queste ore, si chiedono quale possa essere il tetto massimo a cui possa aspirare Fratelli d’Italia.
Io posso solo fare due osservazioni per fare una previsione: la prima è il dato storico del consenso di una formazione di estrema destra in Italia, che non è recente, risale al primo dopoguerra dello scorso secolo, e ci indica il 25%; la seconda è che ad un certo punto l’ascesa forte di alcune leadership compatta l’azione delle altre forze. Una sorta di azione di contrasto democratico.
Nicola Piepoli: “L’ascesa forte di alcune leadership compatta l’azione delle altre forze”
Prenda per esempio la Lega, su cui non ho finito di rispondere prima. Il partito di Salvini si dimostra un fortissimo partito regionale. Questo significa che raccogliere il 40% dei consensi al Nord, che garantisce il 20% a livello nazionale – anche sopra il famoso 15% – numero discrimine tra una buona prestazione e un successo. Se me lo chiede: il vero successo è rappresentato da un quarto dell’elettorato.
Come legge i dati vicini al 40% allora, raggiunti in ordine cronologico dal PD di Renzi, dai 5 Stelle e infine da Salvini?
Tranne quello dei 5 Stelle sono arrivati in Elezioni europee che abbiamo osservato essere fenomeni che non lasciano grandi eredità alle tornate successive. Sono enormi fenomeni di consenso della leadership forte, aiutati dai social, come avvenuto in altri paesi europei. Sono apparsi come fiammate, che poi hanno riportato anche in fretta i partiti vicino al 20%, se non sotto. Oggi sappiamo da questi risultati che un partito di massa moderno è racchiuso tra due numeri: il 40% come limite massimo (superiore al passato) e come limite minimo pressoché lo zero (impensabile nel passato del concetto dello “zoccolo duro”), quindi può anche scomparire.
Piepoli: “oggi sappiamo che un partito di massa moderno è racchiuso tra due numeri: il 40% come limite massimo e limite minimo pressoché lo zero”
Volevo chiederle sul ballottaggio solo un commento rapidissimo, visto che siamo in par condicio, sulle due città più grandi, anche se saranno più di 100 quelle che saranno impegnate nel week end del 16 e 17 ottobre.
Su Roma mi permetto un commento personale, perché ho vissuto a Roma circa 8 mila notti della mia lunga vita, quindi circa vent’anni, e mi considero romano a metà. La Capitale d’Italia ha bisogno di normalità. Di rimarginare le ‘ferite’ civiche e pubbliche. Ha bisogno di dare risposte concrete ai bisogni dei cittadini che prendono i mezzi pubblici e sul tema della spazzatura. Milano è stata capace, e credo che questo sia alla base del grande successo di Sala, di portare in utile le due municipalizzate più importanti e non di rimanervi in un certo qual modo ostaggio. Quelli sono due pensieri per un sindaco normale, per il primo cittadino di Roma sono due problemi serissimi, che necessitano della giusta capacità di affrontare gravi responsabilità in situazioni di difficoltà, come sanno fare i super manager veri e al Paese non mancano.
In merito a Torino, come a Roma, assisteremo ad un ballottaggio classico destra vs sinistra. Con quest’ultima che può risultare favorita forse dai buoni ricordi lasciati negli elettori – non tutti ovviamente – dalle amministrazioni cittadine precedenti.
L’ultima parte dell’intervista ci spostiamo sull’elezione del Capo dello Stato.
Chi giudicano come favorito gli italiani secondo l’Istituto Piepoli?
Sono sempre unpassaggio delicato. Fino ad oggi siamo stati fortunati nell’avere al Quirinale grandi italiani. Vede la grande differenza con le monarchie sta proprio qui: l’incertezza dell’elezione della persona alla guida della nazione che è propria dei regimi repubblicani. Mentre nell’altro caso si conosce già l’erede: esiste una linea di discendenza/successione precisa e abdicare non è mai semplice. La monarchia non ha il peso incerto della successione – riuscita e consenso sono un problema anche per quella istituzione – e sappiamo poi che economicamente l’istituzione monarchica porta PIL all’economia del paese in cui vige (il potere delle feste che aumentano il prodotto interno lordo, quelle comandate, come nascite e matrimoni, attività delle residenze reali ecc.).
Tornando al consenso: il Mattarella bis vede la fiducia degli italiani, in alto al 66%. Stessa percentuale per Mario Draghi. Dopo c’è un gap sostanziale che scende alle metà di questo dato. Poi subentra la politica che spesso ha fatto scelte in Parlamento che si sono rivelate positive per i cittadini.
Quindi la ritiene una partita statisticamente e previsionalmente già chiusa?
In politica mai è tutto definito. Poi non si può parlare propriamente di tendenze in questo caso perché i nomi cambiano da un settennato ad un altro, complice la “maturità” dei papabili. Però le dirò una cosa che Giulio Andreotti disse a me direttamente e non solo a me: “Caro Piepoli tutto s’aggiusta nella vita!”
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