Siamo agli sgoccioli del 2021, e senza ombra di dubbio il protagonista indiscusso della scena politica di quest’anno è stato Mario Draghi. L’ex presidente della BCE ha risposto all’appello del Capo dello Stato colmando il profondo vuoto politico del Paese. L’effetto è stato restituire fiducia e credibilità al nostro sistema economico in ambito internazionale. Il premier è il secondo Presidente del Consiglio non politico dell’attuale XVIII legislatura.
I partiti secondo il verdetto delle elezioni politiche 2018 non sono stati in grado di esprimere alcuna maggioranza attorno ad un premier politico. Ma a prescindere da quale ruolo ricoprirà da febbraio del prossimo anno, il presidente Draghi durante tutto il suo operato ha tracciato alcune importanti linee guida attorno alla quale è necessario riflettere e da cui la politica deve trarre ispirazione.
L’importanza di una politica monetaria e di bilancio comune in Europa
Nel 2008 l’Unione Europea dovette correre ai ripari per un attacco speculativo sui mercati finanziari contro l’eurozona attraverso l’Austerity. Molti paesi tra cui l’Italia, la Grecia, la Spagna, si ritrovarono in una situazione di grave recessione economica. Fu proprio Mario Draghi allora a difendere la stabilità dell’euro. Nel suo celebre discorso del “whatever it takes”, lasciava intendere ai mercati internazionali per la prima volta che la Banca Centrale Europea, da lui guidata, avrebbe assunto il ruolo di prestatore di ultima istanza. Fungendo così da scudo protettivo verso i paesi europei dagli attacchi speculativi di coloro che ben conoscevano i punti deboli dell’eurozona. La differenza dei tassi di interesse tra paesi (spread), l’impossibilità per la BCE di fare da compratore di ultima istanza, e l’inesistenza di un titolo di debito comune europeo.
Nel 2012 tramite un programma denominato Outright Monetary Transaction, la BCE formalizzò questa possibilità di assorbire i titoli di debito dei paesi europei che il mercato non voleva, facendo di fatto crollare all’istante gli spread allora alle stelle dei paesi più esposti “al mirino finanziario” tra cui il nostro. Nel 2014 però l’economia europea stentava ancora ripartire e scivolava inesorabilmente verso la deflazione: un progressivo e costante calo dei prezzi che comportò una depressione degli investimenti e dell’entrate. L’intervento di Draghi da stimolo per l’economia fu il cosiddetto “quantitative easying”. Un massiccio acquisto di titoli da parte della BCE, che immettendo liquidità nel sistema e mantenendo così i tassi di interesse bassi lasciò maggiori margini di manovra ai bilanci statali dei singoli stati europei.
La lezione di Mario Draghi sul ruolo dell’UE
Negli ultimi anni del suo mandato alla BCE, Draghi ha però ribadito più volte di come una vera svolta alla crisi dell’eurozona debba passare per un bilancio centrale europeo, e quindi la possibilità di creare un debito condiviso. In poche parole: il futuro Eurobond. Un importante lezione che da premier ha dato e continua a dare ancora oggi a tutti quei partiti che hanno utilizzato in questi anni l’Unione Europea come capro espiatorio di tutti i mali, è che al contrario oggi nel mondo globalizzato è proprio l’impegno per rendere quella istituzione più unita la nostra unica speranza di indipendenza economica da altre superpotenze e l’unica possibilità di competere.
Senza gli interventi della BCE molti stati tra cui il nostro avrebbero rischiato l’insolvenza come per la Grecia. Durante questi anni di pandemia senza l’acquisto di titoli da parte della BCE lo spread avrebbe potuto innalzarsi pericolosamente. Draghi ci insegna che il rinascimento post-pandemico deve ripartire dall’Europa. Che i governi nazionali da soli sono condannati inevitabilmente agli attacchi speculativi. E soprattutto ad essere schiavi di altre superpotenze mondiali come Cina e Stati uniti. Chi non ammette o non comprende questo è completamente cieco.
L’Italia: la crescita economica e le prossime sfide della politica
La questione del debito pubblico pesa come una spada di Damocle sul nostro Paese da ormai quasi 30 anni. Quando l’Europa venne colpita dalla crisi finanziaria, il debito pubblico italiano si attestava attorno all’incirca il 120% del PIL. Oggi dopo quasi 2 anni di emergenza sanitaria il debito si attesta attorno al 150%. Il vero obbiettivo del Paese però, come Draghi ha ribadito nella conferenza stampa di fine anno, non deve essere il debito, ma la crescita. Solo con una crescita economica sostenibile, va da sé che anche il debito pubblico diverrà esso stesso sostenibile. Per citare il presidente Draghi “è la crescita il barometro di credibilità”.
Negli ultimi 30 anni importanti realtà strategiche del nostro Paese sono state troppo facilmente smantellate e abbandonate a potenze straniere. Realtà come Alitalia, Telecom, Parmalat, Edison, Olivetti, colossi che hanno rappresentato l’orgoglio del Made in Italy per decenni, falliti per andare nelle mani del migliore offerente. Oggi è il settore del lusso ad esempio a vedere la scalata di Bernard Arnault all’assalto della maggior parte dei nostri brand del settore.
Inoltre bisogna prendere atto di una politica euro-mediterranea molto debole o quasi assente del nostro Paese, sotto l’assalto geopolitico di Turchia, Russia e Cina. Con la Russia che minaccia i confini europei dell’Ucraina, e dove l’unico deterrente in mano europea, come evidenziato da Draghi, è di natura esclusivamente economica. La NATO che ormai già da tempo ha esaurito la sua funzione storica, ha spostato principalmente l’attenzione verso la zona dell’indo-pacifico, trascurando così gli interessi dell’Unione nelle zone limitrofe e a noi più strategiche. Forse è tempo che l’UE difenda i propri interessi da sola, creando istituzioni indipendenti da potenze di oltreoceano.
La lezione di Mario Draghi (e Sergio Mattarella) alla classe politica
C’è bisogno di unità, di una politica lungimirante, e di una maggioranza solida, in grado di difendere gli interessi del Paese tenendo ben presente il quadro internazionale ed economico in cui viviamo. Politiche assistenzialiste, spasmodiche ricerche di capri espiatori, divisioni politiche incentrate su battaglie personali, ampiamente abusate in questi anni dalla politica per generare consensi, non creano né posti di lavoro, né incentivano l’economia a crescere. Draghi ci ricorda di come una politica incentrata sull’oggi è miope e senza futuro. “Un politico”, sosteneva De Gasperi, in una delle citazioni più abusate e meno prese ad esempio: “guarda alle prossime elezioni, ma uno statista alla prossima generazione”. Solo quando la politica tornerà ad essere, un “pensiero lungo” – per citare un analogo concetto espresso da Enrico Berlinguer – e a rappresentare un progetto politico di tale lungimiranza, i Mario Draghi non saranno più necessari.
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